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À cenni, al volto d’ambi, ò lieto, ò tristo,
     La plebe s’ indovina quel, ch’ei dice;
     E più alcun saggio, c’havea già previsto
     Un successo malvagio, over felice.
     Quel, che già il sà da qualche amico, è visto,
     Il qual fa si, che ’l ver non gli disdice.
     D’uno in un’ altro il muto grido giunge,
     Fin che ’l sà ogn’uno, e ogn’un sempre v’aggiunge.

Ogn’un fa spacci, ogn’un fogli impacchetta,
     Per terra altri s’invia sopra il galoppo,
     E fa sonar da lunge la cornetta,
     Nel mutar del caval per non star troppo:
     E, perch’altri no’l passi, il fante affretta,
     Che par, ch’in troppe cose dia d’intoppo;
     Promette, e dona largo à la sua guida,
     Accio che corra via veloce, e fida.

Altri spaccia per mar fusta, ò fregata,
     Et aviso ne dà, dove gl’ importa.
     Ma molto prima à darne aviso è stata
     À grandi Heroi l’imperatrice accorta.
     La spacci pur chi vuol, che l’ambasciata
     Un de’ ministri suoi mai sempre porta.
     Mille ministri suoi prendono il pondo
     Di farne mormorio per tutto il mondo.

Stan, fatto c’han lo spaccio, entro à la corte
     Attenti per haver qualche altro aviso.
     Finge alcun con maniere, e note accorte
     Qualche falso successo à l’improviso;
     Et à qualch’un, ch’à lui dà fede à sorte,
     Fà rallegrare, ò impallidire il viso.
     Altri senza invention quel, ch’ode, spande;
     Ma in quanto al fatto il fa sempre più grande.

Seco il non vero, e temerario Errore
     Con la Credulità di stare elesse.
     V’è la vana Speranza, e ’l van Timore,
     Che fatti ha ciechi il lor proprio interesse.
     Vi stà il dubbio Susurro, e senza auttore,
     Che non si seppe mai di cui nascesse.
     Fa nel più alto muro ella soggiorno,
     Onde riguarda il mondo d’ogn’ intorno.

La Dea, che signoreggia in quello albergo,
     Ha d’ogni folgor più veloce il piede;
     Quell’ale ben formate ha sopra il tergo,
     Che la maggior velocità richiede.
     Stia come vuol, senza voltarsi à tergo,
     Ciò, che s’adopra d’ogn’ intorno, vede.
     Che ’l corpo ben disposto ha pien di piume,
     Et ha sotto ogni penna ascoso un lume.

Per altrettante orecchie ogni hora attente
     Ode ciò, che nel mondo si ragiona.
     E fa, che ciò che vede, e ciò che sente,
     Per altrettante bocche in aria suona.
     Di dì, e di notte in levante, e in ponente,
     Se ’l caso è d’ importanza, và in persona.
     Per lo mondo ne và senz’esser vista,
     E più, ch’ innanzi và, più forza acquista.

Mesce co’l vero il falso, e anchor talvolta
     Ciò, che ragiona, è una menzogna espressa;
     E non cessa giamai d’andare in volta,
     Fin ch’ empie tutto il mondo di se stessa.
     Ritorna à la sua rocca, e vede, e ascolta,
     Ne del sonno ha giamai la luce oppressa.
     Poi ciò, che si fa in cielo, in mare, e in terra,
     Fà mormorare anchor terra per terra.

Hor questa Dea, che la città spaventa
     Quando infelicità per sorte apporta,
     Horribil più, che mai si rappresenta
     Con gran susurro à la Troiana porta.
     E la gran turba ad ascoltare intenta
     Rende del mal, che la minaccia, accorta,
     Come l’armata Greca s’incamina
     Per dare à Troia l’ultima ruina.

Non mostra il vecchio Re turbato il ciglio,
     Perche non prenda il popolo terrore,
     Anzi porge coraggio al suo consiglio,
     Se ben dentro di se turbato ha il core.
     Dà il peso generale al maggior figlio
     Di fare armar le genti di valore.
     E tutti i Re vicin collega seco,
     Per ributtar, se può, l’imperio Greco.