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ANNOTATIONI DE L'UNDICESIMO LIBRO.

Vogliono alcuni che la morte di Orfeo fusse historia vera; perche essendo Orfeo stato il primo inventore de i sacrifici di Bacho; impose a i Traci che facessero fare i medesimi sacrifici dalle Menadi; che erano quelle donne che pativano allhora la purgatione del menstruo per tenirle mentre che durava quella purgatione lontane da gli huomini, i quali rimangono offesi, se per aventura usano con esse loro in quei tempi. Havendo le donne doppo havuta miglior consideratione sopra gli ordini di Orfeo intorno i sacrifici di Bacho, pensorono ch’egli non gli havesse fatti ad altro fine che per iscoprire le loro vergogne, & abhominevoli sozzezze, la onde congiurorono insieme contra Orfeo, e l’amazzorono spinte da quel furore loro bestiale con i Rastri, con le Zappe, e con gli altri instrumenti da campagna. Non è meno adorna questa descrittione della morte di Orfeo di belle comparationi, come quella della stanza, Come s’osa tal’hora l’augel notturno, di quale si voglia altra di questo Volume, la quale tutto che si sia di Virgilio, nondimeno è spiegata non meno felicemente che propriamente nella lingua nostra da l’Anguillara; come è ancora quell’altra, Qual se tal’hor l’augello al laccio è preso, e le conversioni ancora del Poeta a gli Dei nell’ultimo della stanza, Tolte le scuri, e gli altri astati ferri e l’altra al medesimo Orfeo nell’ultimo della stanza, Dapoi che hebber commesso il sacrilegio.

Conviene propriamente la favola di Mida, che chiese a Bacho che gli facesse gratia che tutto quello che toccava divenisse oro; all’avaro al quale il piu delle volte Iddio concede, che tutte le cose gli succedino felicemente intorno l’arricchire, perche tutti i suoi negotij gli riescono secondo il desiderio suo; onde quanto piu arrichisse tanto piu cresce il desiderio d’havere venendo poi in cognitione al fine che cosi la sua fame è insatiabile, come ancora la sua sete inestinguibile, si volta a Dio, pregandolo che gli levi quell’ardentissimo desiderio di ricchezze, il quale mosso a pietà gli fa poi meglio conoscere aviandolo a purgarse al fiume Pattolo, che le ricchezze non sono altro che apparenze di bene all’avaro, e che sono labile, e fugaci a simiglianza dell’acque del fiume, onde fastidito de i negotij, e de i travagli, poi ama di stare come purgato dall’avarissimo desiderio d’havere, ne i luoghi solitarij, che non sono altro che le cognitioni di se stessi. Si vede quanto non meno vagamente che diversamente habbi l’Anguillara descritti i giorni in molti luoghi, come si vede quivi ancora la sua ingeniosa elocutione in questa parte, nella stanza, Il Re cui cresce l’oro, e manca il vitto e nella seguente la bellissima conversione che fa Mida e Bacho.

Che Mida giudicasse migliore il canto di Pane che quello d’Apolline non è da meravigliarse perche gli huomini che hanno corrotto il giudicio, stimeranno sempre piu le cose terrene di Pane, che le celesti di Apolline, e però mertano di essere scoperti di havere l’orecchie d’Asini, che non è altro che essere conosciuti havere piu delle bestie che de gli huomini, e quanto piu pensano coprire la loro bestialità, con oro, dignità e grandezze, tanto piu i loro propri costumi, che sono ancora i loro loquaci servitori, li vanno palesando per tutto il mondo, figurato per la terra, il quale poi ne produce le canne; che sono le trombe de i Scrittori, e Poeti, che vanno scoprendo in ogni parte i vicij bestiali loro, come ben dice l’Anguillara nella stanza, Cosi mostrò, ch’al Re si convenia, nella quale si legge quella bellissima conversione, che fa alla sua Musa; dicendo, O che gran mitra, musa vi vorria, come ancora si legge quella a i Prencipi che è nel mezzo della stanza, L’uno il palesa a l’altro, e fan che vede, e nella seguente, si può in questa favola di Mida conoscere quanto sia verissimo, e indubitato quel detto che non vi è cosa al mondo tanto secreta che non si palesi, ne tanto occulta che non si scopri, onde dovrebbeno gli huomini pigliar essempio di non far giamai cosa alcuna brutta; con confidenza che l’habbi ad essere secreta, perche le mura, la terra, e l’aere sogliono palesare le cose mal fatte.

Ci depinge lo spergiuro di Laomedonte prima contra Apolline, e Nettuno, e poi contra Hercole, l’huomo macchiato d’ingratitudine; il quale voltandose a Dio ne suoi maggiori bisogni con voti, e promissioni, ottiene quanto desidera dalla sua bontà divina; & ottenutolo, subito come scordevole di tanto beneficio, & ingratissimo non si cura ne di Dio ne de gli huomini, onde ne merita poi il castigo dell’innondatione dell’acque che gli levano tutte le sue sostanze lasciandolo in miseria, & infelicità; e li toglie al fin tutti i suoi beni ancora, una fiera malignità d’aere, e perche chi è