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     Di qui tolsero i Dori il bel lavoro,
     Che Dorico hor si fa per tutto ’l mondo,
     Come tolser gl’Ionij anchora il loro
     Da la forma de l’ordine secondo.
     Quì le colonne di diamante foro
     Col capitel, che incurva i lati al tondo,
     Ch’à ritirar la sua voluta in dentro
     Diverso vuol tredici volte il centro.

Le seconde colonne un quarto meno
     Son de le prime, ma col piedestallo
     S’inalzan tanto, che ne più, ne meno
     Vien l’ordine alto il medesmo intervallo.
     Nove larghezze del cerchio più pieno
     Dan lor l’altezza, e fan nel fregio un ballo
     Fanciulli ignudi sì vaghi, e lascivi
     Fra festoni d’allor, che paion vivi.

Intorno à l’ampie fenestre seconde
     I segni splendon del zodiaco in oro,
     E ciascun sopra il suo mese risponde
     Co i proprij influssi, che piovono in loro.
     Foco il Leon, ghiaccio l’Aquario infonde,
     Sparge il mondo di fior l’Ariete, e ’l Toro.
     Più quà sta il Cancro, e più là il Capricorno,
     Questo fa un lungo, e quel fa breve il giorno.

L’ultimo adornamento, che sta sopra,
     È poca cosa differente à quello,
     C’hor detto habbiam: sol fan diversa l’opra
     Le figure, le pietre, e ’l capitello.
     Questo à fogliami par, che mostri, e scopra
     Un artificio più svelto, e più bello.
     Le pietre pretiose ivi conteste
     Son di zaffiro, e di color celeste.

Par, che nel terzo fregio si dispicchi
     Un viticcio, che va con varij giri,
     E con questa e con quella herba s’appicchi,
     E intorno à lor s’avolga, e si raggiri.
     Fann’ orlo al fregio pretiosi, e ricchi
     Robini in oro, smeraldi, e zaffiri.
     Fior, fronde, e frutti ingombran dentro il loco,
     Di lauro, cedro, girasole, e croco.

I terzi vani ingombran con grand’arte
     Tutti i pianeti: e ciaschedun sta dove
     Risponde à piombo sopra quella parte,
     Che su’l suo segno del zodiaco piove.
     Sopra Ariete e Scorpion si vede Marte,
     Sta sopra Pesci, e Sagittario Giove.
     Haver si veggon due case ciascuno:
     N’ han sol Febo e Diana una per uno.

Non son l’altre facciate differenti
     Dal’ordine di questa architettura.
     È ben ver, ch’altre historie, et altre genti
     Mostra in lor lo scarpello, e la scultura.
     Son però tutte cose appartenenti
     Al chiaro Dio, che di quel luogo ha cura.
     Ma tutto è nulla à quel, che di sua mano
     Ne la gran porta d’hor sculpì Vulcano.

Il mar vi fe, che circonda la terra,
     Nel mar pose i marittimi divini,
     Dove ogn’un lieto diportandosi erra
     Sopra grand’Orche e veloci delfini.
     Triton con la man destra il corno afferra,
     Con l’altra affrena i suoi destrier marini.
     V’è quel, ch’ innanzi il suo gregge si caccia,
     E muta à suo piacer persona, e faccia.

Con le Nereidi v’è la madre Dori,
     Ritratte in atti gratiosi e belli.
     Questa coglie in un scoglio varij fiori,
     E secca al Sole i suoi verdi capelli:
     Quella sta sopra un pesce mezza fuori;
     L’altra balestra i suoi marini augelli.
     Tutte un viso non han, non vario molto,
     Qual si convien fra le sorelle il volto.

Il mar la terra abbraccia, e la circonda;
     Qui fa la terra un braccio, altrove il mare;
     E giunti in un fan la sfera rotonda:
     Ben che quì Pluto, ivi Nettuno appare.
     La terra d’animanti in copia abonda,
     D’huomini, e di città superbe, e rare
     Di monti, e boschi, stagni, e laghi, e fiumi,
     Di Ninfe, e mille suoi terrestri Numi.