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Ma come ei scopre al suo pensiero il velo,
     E che la moglie intende il suo consiglio;
     Sente arricciarsi subito ogni pelo,
     Dal mare spaventata, e dal periglio.
     Correr sente il tremor per l’ossa, e ’l gelo,
     Pallida il volto, e lagrimosa il ciglio;
     Tre volte ella sforzossi, e parlar volse,
     E tre volte il sospiro, e ’l pianto sciolse.

Al fin palesa à lui l’afflitta mente,
     Benche la trista, e timida favella
     Dal pianto, e dal sospir rotta è sovente,
     Secondo che ’l dolor l’ange, e flagella.
     Qual colpo, ohime dicea, qual mal consente,
     Che già ver me la mente habbi ribella ?
     Qual’ ho commesso error? qual trista sorte
     Vuol farti abbandonar la tua consorte ?

Misera me, dov’è quel tempo gito,
     Che non solevi mai lasciarmi un punto ?
     Misera, già di me sei fastidito ?
     Già puoi da l’amor mio viver disgiunto ?
     Già il grande amor dal tuo core hai sbandito,
     Che t’havea da principio il petto punto?
     Quel ben, che mi volesti, hai già dimesso,
     E m’ami haver da lunge, e non da presso.

Se fosse almeno il tuo camin per terra,
     Se ben ne sentirei non men dolore,
     Pur non havrei de la spietata guerra
     De l’implacabil mar noia, e timore.
     L’empia vista del mare è, che m’atterra,
     E sempre il mio timor rende maggiore.
     Pur dianzi con questi occhi portar vidi
     Pezzi di rotte navi à nostri lidi.

Ho letto spesso anchor su bianchi marmi,
     Ultimo albergo à le terrene some,
     Che quel, che discriveano i sacri carmi,
     Non havea nel sepolcro altro, che ’l nome:
     Perche del mar l’ irreparabili armi
     Havean le membra sue sommerse, e dome;
     Ne creder meno i venti haver rubelli,
     Perche il lor Re per genero t’appelli.

Come son sprigionati in aere i venti,
     È tutto in poter lor la terra, e ’l mare,
     Ne ’l padre mio con tutti i suoi argomenti
     Al folle lor furor può riparare.
     Fanno uscir de le nubi i fuochi ardenti,
     E veder prima il lampo, e poi tonare.
     Sendo fanciulla ben gli conobbi io
     Ne la scura prigion del padre mio.

E quanto più gli ho conosciuti, tanto
     Mi par, che mertin più d’esser temuti.
     Hor quando à me non vaglia il prego, e ’l pianto,
     Ne possa oprar, che ’l tuo parer si muti,
     Ti prego per quel nodo amato, e santo,
     Orde amor ne legò, che non rifiuti,
     Ch’ io venga appresso al mio dolce consorte,
     Si che parte habbia anch’ io ne la sua sorte.

Ch’almen non temerò, se teco io vegno,
     Del mal, ch’anchor non noce, e non minaccia.
     S’io stò, parrammi ogn’ hor, che ’l salso regno
     Sdegnata contra te mostri la faccia.
     Là dove forse il tuo felice legno
     Il vento in poppa havrà, nel mar bonaccia;
     Sarà fra noi comune il danno, e ’l bene,
     Ne temerò del mal, fin che non viene.

Il Re, che ’l pianto, e ’l grande amore intende,
     Onde l’afflitta moglie ha molle il lume,
     Se ben non cede al prego, e non s’arrende,
     Forz’è, che stilli anch’ei da gli occhi il fiume.
     E, perche fiamma uguale il cor gli accende,
     Prega, che più per lui non si consume.
     Le dice la cagion, perche si parte,
     Ne vuol, che nel periglio, ella habbia parte.

Ogni ragion di maggior forza trova,
     Per far coraggio al suo timido petto.
     Ma non però la misera l’approva,
     Ne può farla sicura dal sospetto.
     Di punto in punto il suo pianto rinova,
     E mostra à mille segni il grande affetto.
     Con questa voce al fin grata, et accorta
     Alquanto l’acquieta, e la conforta.