E de l’essiglio la cagion mentita
Disse, ch’essendo al padre in ira alquanto,
Havea fatto pensier passar la vita
Sotto il governo suo benigno, e santo:
E come da la sua gratia infinita
Havea sicura fè d’ottener tanto,
C’havrebbe in corte loco, over nel regno,
Che non saria del suo cugino indegno.
Il grato Re, che subito s’accorse,
Ch’era Peleo nipote al Re superno,
Ver lui con dignità se stesso porse,
E l’abbracciò con vero amor fraterno.
Tanto grata accoglienza in lui si scorse,
Che aperse ne la fronte il core interno;
Mostrò ver la moglier l’istesso ciglio,
E poi baciò più volte il picciol figlio.
E poi che mostrò il volto, e ’l core aperto,
E satisfè con l’accoglienza à pieno,
Volle, per farlo del suo amor più certo,
Scoprir con questo dir l’interno seno.
Se ’l regno mio la plebe senza merto
Con volto à se raccoglie almo, e sereno;
D’un chiaro huom, che farà per mille prove,
Che sia, come son’io, nipote à Giove?
D’ogn’uno è il regno mio rifugio, e nido,
Hor, che sarà d’un mio caro congiunto?
Il nome del cui sangue in ogni lido
Con gran gloria di voi superbo è giunto.
Con quella mente al tuo valore arrido,
Che vuol l’amor, ch’à venir qui t’ha punto.
Non mi pregar, ma i lumi intorno intendi,
E quel, che fa per tè, sicuro prendi.
Ciò che qui scorgi mio, prendi pur tutto,
Volesse Dio, che meglio vi scorgessi.
Non può tenere in questo il viso asciutto,
Ma manda fuor sospir cocenti, e spessi.
Signor (disse Peleo vedendo il lutto)
Vorrei, che la cagion tu mi dicessi;
Che se per virtù d’huom si potrà torre,
Per te la propria vita io son per porre.
Non può (rispose il Re) l’humana forza
Trovar rimedio à miei perpetui danni.
L’augel, che tanti augei spaventa, e sforza,
Che batte si veloce in aere i vanni,
Già si stava in viril serrato scorza,
E solea menar meco i giorni, e gli anni;
Poi l’aspetto viril perdè primiero,
Per farmi ogni hor vestir lugubre, e nero.
Ei fu Dedalion per nome detto,
E nacque anch’ei di quel bel lume adorno,
Che chiama de l’Aurora il vago aspetto
A dar co ’l suo splendor principio al giorno.
Nacque di quello ardor lucido, e netto,
Che cede solo al Sole, e al Delio corno;
Che la sera primier compar nel cielo,
E ne l’alba è più tardo à porsi il velo.
Fu mio fratello, e quanto à me la pace
Piacque di conservar ne la mia terra,
Tanto ei feroce, e piu d’ogni altro audace
Più d’ogn’altro essercitio amò la guerra.
Et hoggi anchora augel forte, et rapace
Con l’unghie ogni altro augel feroce afferra;
Se ben la prima sua cangiò figura,
Non però l’aspra sua cangiò natura.
Di questo mio fratel Chione, una figlia
Di spirito, e di volto unica nacque:
Che fece ogni huom stupir di maraviglia;
Tutti n’arse d’amore, à tutti piacque.
Quel, che d’Eto, e Piroo regge la briglia,
Dal primo dì, che ne la culla giacque,
Tre lustri havea co ’l suo girare eterno
Fatto à mortai sentir la state, e ’l verno.
Tornando un dì da Delfo il biondo Dio
A caso ver costei volse la fronte,
E in lui d’amor destar novo desio
L’uniche sue bellezze altere, e conte.
Di Giove il nuntio anchor gli occhi v’aprio
Tornando à caso dal Cellenio monte;
E come l’occhio cupido v’intese,
Non men del biondo Dio di lei s’accese.