Per torsi al fine à l’importuno amante
L’arbore via da se scaccia, e dismembra;
E di tigre crudel preso il sembiante
Mostra volere à lui piagar le membra.
Deh non voltare à lei, Peleo le piante,
Che tigre ella non è, se ben t’assembra.
Lascia ei la belva, e l’antro, ov’ella nacque,
Poi se ’n và per placar gli Dei de l’acque.
Acceso il foco su l’altar divino,
E fattovi arder sù l’odore, e ’l gregge,
Sparge su l’onde salse il sacro vino,
Indi prega ogni Dio, che nel mar regge,
Che faccian, che ’l lor Nume almo marino
Non fugga d’Himeneo la santa legge.
A la devota, e lecita richiesta
Il Carpathio profeta alza la testa.
Verrai (gli disse Proteo) al tuo contento,
Ritorna à lei nipote altier di Giove:
E come entro à lo speco ha il lume spento,
Che in lei l’onde di Lete il sonno piove,
Legala, e non guardare al suo lamento,
Ne dubitar de le sue forme nove.
Se vuol con mille volti uscir d’impaccio,
Siasi quel, che si vuol, tien sempre il laccio.
Non la lasciar giamai fin, che non prende
Il primo suo di Dea verace aspetto.
Detto cosi lo Dio, che ’l fato intende,
Asconde in mezzo à l’acque il volto, e ’l petto.
Lo Dio, che ’l maggior lume al mondo rende,
Vicino, era à l’Hesperio suo ricetto;
E godea Theti già nel fin del giorno
Co ’l volto vero il proprio ermo soggiorno:
Peleo ne l’antro desioso arriva,
E lei, che dorme, un’altra volta cinge.
Come il sonno la lascia, e si ravviva,
Di mille varie forme si dipinge.
Mai del laccio la man Peleo non priva,
Tanto ch’à palesarsi la costringe.
Come le membra sue legate sente,
Più le parole, e ’l volto à lui non mente.
Piangendo dice, Non m’havresti vinta,
Senza il favor d’alcun celeste Dio.
Ei con le braccia lei tenendo avinta,
Con dir cerca addolcirla humano, e pio.
E poi che la sua stirpe ei l’ha dipinta,
L’induce à consentire al suo desio;
L’abbraccia, e bacia mille volte, e mille,
E le fa grave il sen del grande Achille.
Potea sopra ogn’altro huom dirsi beato
Peleo per tal consorte, e per tal figlio;
Se non havesse il suo ferro spietato
Del sangue del fratel fatto vermiglio.
Poi c’hebbe ucciso Foco gli fu dato
Dal mesto genitor perpetuo essiglio.
Onde con pochi misero, e infelice
N’andò in Trachinia al regno di Ceice.
Lucifero già diè Ceice al mondo,
Che la Trachinia patria possedea,
E in volto limano, amabile, e facondo
Quieto, e senza guerra ivi reggea:
E ben nel volto suo grato, e giocondo
Il paterno candor chiaro splendea.
È ver, ch’allhor dissimile à se stesso
Era, e gran duolo havea nel volto impresso.
Come Peleo vicin la terra scorge,
Dove ha molti congiunti, e confidenti,
Questo consiglio à quei da saggio porge,
C’havea con lui per guardia de gli armenti.
Poi che ’l nostro destino, empio ne scorge,
A la mercè de le straniere genti;
Fate co ’l gregge qui cauti soggiorno,
Fin che dal Re con la risposta io torno.
Da pochi accompagnato, entro à le porte
De la città ne và co ’l proprio piede.
Poi che gli fu permesso, entro à la corte
Passar fin dove il Re grato risiede,
Con modi humili, e con parole accorte
Co ’l ramo, che dimostra amore, e fede,
Appresentato al Re, noto gli feo,
Com’era giunto il suo cugin Peleo.