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decimo. 188

Gli spettatori fan plauso, e coraggio
     Al giovane, e in favore ha tutto il mondo.
     Ma racquista la vergine il vantaggio,
     E ’l fa di novo rimaner secondo.
     Tosto ei le fa rotare innanzi al raggio
     L’altro or, ch’accresce rotolando il pondo.
     Come l’avara femina il riguarda,
     Si piega à torlo, e ’l suo camin ritarda.

Mentre il bello or la vergine à se tira
     Con la sua bella, e pretiosa vista,
     Il bel garzon, ch’à la vittoria aspira,
     La lascia à dietro, e gran vantaggio acquista.
     Ella di novo il passa: ei fa, che mira
     L’altro oro, onde la mano era provista,
     Dubbiosa al terzo don gli occhi ella volse,
     Ma tal gli diei splendor, che fei, che ’l tolse.

Com’ha la palla in man fo, che s’aggiunga
     Gravezza à l’or, perchè sia più impedita.
     Hor per non esser’io più pigra, e lunga
     De la lor corsa subita, e spedita,
     Fo, ch’ei pria de la donna al segno giunga,
     E salvo à lui la compromessa vita.
     Gli ornan di verde alloro il crin le foglie,
     E in premio ottien la desiata moglie.

Io fui, che con l’aiuto, e co ’l consiglio
     Il temerario giovane salvai
     Dal manifesto suo mortal periglio,
     E con colei, ch’amò, l’accompagnai.
     E ben dovea, chino il ginocchio e ’l ciglio,
     Non obliar tal beneficio mai,
     Ma render gratie al mio poter immenso
     Co ’l far su l’altar mio fumar l’incenso.

Le ginocchia non mai chinò, ne ’l lume,
     Di me scordossi, e fu del tutto ingrato.
     Mancò de le parole, e di quel lume,
     Che fa fumar l’odor soave, e grato.
     Perche non sprezzi dopo altri il mio Nume,
     Come mi mostrò il cor d’ira infiammato,
     Gli accendo d’uno ardor nefando, et empio,
     E dò con danno loro à gli altri essempio.

Andando per i boschi ombrosi un giorno
     De la possente madre de gli Dei,
     Passar dinanzi al tempio alto, et adorno,
     Che per voto Echion fondò per lei.
     S’era novanta gradi, andando intorno,
     Scostato il Sol da regni Nabatei,
     Tanto che l’hora calda, e ’l lor piè lasso
     Fer, che posar lì dentro alquanto il passo.

Come nel tempio egli ha fermato il piede,
     E ne la donna sua tien fiso il guardo,
     Fo, che Cupido in quel momento il fiede
     Co ’l piu ferin libidinoso dardo:
     Tal che in disparte la consorte chiede,
     Dove il lume del giorno è men gagliardo,
     E fra divini altari, e simulacri
     Fa torto co ’l suo obbrobrio à marmi sacri.

Quivi ogni Idolo pio gli occhi rivolse,
     Per non mirar quell’atto oscuro, e bieco.
     La madre Berecinthia in dubbio tolse,
     Se dovea dargli al regno infame, e cieco.
     Pur dar si poca pena lor non volse,
     Ma che sotto altro vel vivesser seco.
     Il collo delicato, e senza pelo
     Di lungo crin coperse il carnal velo.

Horrido, spaventoso, e altier fa il volto
     La donna, e l’huom nel rinovato aspetto.
     Ma il pel de l’huom si fa più lungo, e folto
     Per tutta la cervice insino al petto.
     Come un rampino il dito in giro volto
     S’arma d’una unghia d’un crudele effetto.
     Ne l’agitar la polverosa coda
     Mostra quant’ira, e sdegno il cor gli roda.

In vece de la solita favella
     Si senton dar l’horrendo empio ruggito,
     Più di pietà la donna ha il cor rubella,
     Più forza, e più coraggio have il marito.
     In vece de la corte adorna, e bella,
     Van frequentando il boscareccio sito.
     Lor posto il fren la Dea, di cui ti narro,
     Fe, che tirar leoni il suo bel carro.