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Ma, perchè tanta homai mi prendo cura
     Di lui, se ’l mio consiglio ei non intende?
     Poi ch’al suo cor quel piè non fa paura,
     Che morti innanzi à lui tanti ne rende.
     Cerchi pur con la morte altra ventura,
     Se ’l tedio de la vita il cor gli offende.
     Dunque havrà quei per me l’età fornita,
     Che sol per viver meco ama la vita?

Dunque ei per premio havrà di tanto amore
     Da me spietata, e dolorosa morte ?
     Per volermi illustrar co’l suo splendore,
     Io chiuder debbo al suo splendor le porte ?
     S’io vinco, e scocco in lui l’ultimo horrore,
     Non fia chi porti invidia à la mia sorte.
     Ma l’haver morto un volto sì giocondo
     L’odio m’acquisterà di tutto il mondo.

Ma qual colpa è la mia? s’ io l’ammonisco,
     Ne vuol lasciar la perigliosa impresa ?
     Piacesse pur à lui fuggir tal risco,
     Che da me tal beltà non fora offesa.
     Hor, poi che preso à l’amoroso visco
     La mente ha troppo stolta, e troppo accesa,
     Piacesse à la divina alta mercede,
     C’havesse più di me veloce il piede.

Egli ha pure il soave aere nel viso,
     Ó quanto è dolce, e grata la sua vista;
     Piacesse pure à l’alto paradiso,
     Che non m’havesse mai per suo ben vista.
     Di vita è degno, e non d’essere ucciso,
     E se la sorte mia malvagia, e trista
     Non mi vietasse il matrimonio santo,
     Qual coppia fu già mai felice tanto?

Rozza nel primo amor la bella figlia
     Ama, ne sà d’amar; pensa, e s’aggira:
     Ne’ dolci lumi suoi ferma le ciglia,
     E dubbia del suo stato arde, e sospira.
     Di novo, che non corra, ella il consiglia:
     Ma come affaticarsi indarno mira,
     Ambi à la corda ad agguagliarsi vanno,
     Là, dove per lanciarsi attenti stanno.

Come dà il segno la sonora tromba,
     La vergine, e ’l garzon s’aventa al corso.
     Il grido de la turba alto rimbomba
     Porgendo ogn’uno à l’huom core, e soccorso.
     Per guadagnar la moglie, e non la tomba
     Hippomene le piante opra, e ’l discorso;
     E sì leggiero ogn’un si spinge avante,
     Ch’asciutte condurrian su’l mar le piante.

Con tanta leggiadria premean la strada,
     Che l’orme in luogo alcun non eran viste,
     E corso havrian su la spigata biada,
     Senza far punto risentir l’ariste.
     Ogn’un fa core al giovane, che vada,
     Perche la moglie, e non la morte acquiste,
     Hora Hippomene è tempo, hora t’aita,
     C’havrai la sposa, e salverai la vita.

È dubbio chi di lor più s’allegrasse,
     Ó la vergine, ò l’huom de le parole:
     Che voglion, ch’à la donna avanti passe
     Del nobil Re del mar la terza prole.
     Ó quante volte haver le piante lasse
     Mostrò per non gli tor si tosto il Sole;
     Al fin non senza suo tormento, e doglia
     À dietro se’l lasciò contra sua voglia.

Già il rispirare era affannato, e stanco
     D’Hippomene, e la meta era anchor lunge,
     Gittando un pomo d’or dal lato manco
     L’ incanto fa, che ’l peso à l’oro aggiunge.
     La donna, che lo spirito ha più franco,
     Si piega à l’ ingrossato pomo, e ’l giunge,
     E quanto sente in man più grave il peso,
     Tanto più si rallegra haverlo preso.

Mentre ella andò da l’avaritia vinta
     À tor fuor del camin quel bel thesoro,
     La prole di Nettuno innanzi spinta
     À dietro si lasciò la donna, e l’oro.
     Ma l’altra, che volea la fronte cinta,
     Come solea, del trionfale alloro,
     Ver dove corre il giovane rivolta,
     S’affretta per passarlo un’altra volta.