Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/384

Può star (dicea) che ’l suo splendor sia tanto,
     Ch’abbagli tanto altrui l’human consiglio,
     Che per haver più lei, ch’un’altra à canto,
     L’huom voglia esporsi à l’ultimo periglio ?
     Siede ei con gli altri per vedere intanto
     Quel, che sentito ha dir, co’l proprio ciglio.
     Vien la fanciulla, e ’l corpo ha mezzo ignudo
     E mostra iI petto bello, e ’l pensier crudo.

Com’egli vede il suo divin sembiante,
     E ’l fianco, e ’l sen, riman di stupor morto;
     Ne men de gli altri ne diviene amante,
     E con parlar si scusa alto, et accorto.
     Son le sue gratie veramente tante,
     Ch’ io veggio ben, ch’ io vi ripresi à torto:
     Perdon con humil core à tutti chieggio,
     Che ’l premio non havea visto, c’hor veggio.

Loda il volto divin, loda il bel petto,
     Che sembra quasi d’huom, sì pian si stende;
     Loda l’almo splendor purgato, e netto,
     Che quasi un Sol ne l’occhio suo risplende.
     Intanto sente in lui crescer l’affetto,
     E quanto più la loda, più s’accende;
     Già brama, che di lei corra ogn’un meno,
     E d’amore, e d’invidia ha colmo il seno.

Deh (disse poi) perche anchor io non tento
     Ó d’acquistarla, ò di lasciar la vita ?
     Qual’ huom nel mondo mai fu sì contento,
     S’acquisto una beltà tanto gradita ?
     Più bene è in lei, che l’ultimo tormento
     Non ha di mal. Gli audaci il cielo aita.
     Intanto ecco un, che vien più, che può forte,
     Per guadagnar la vergine, ò la morte.

La vergine Atalanta anch’ella affretta
     Con tal velocità l’invitto piede,
     Ch’à par d’ogni prestissima saetta
     Con gran fatica il bel corpo si vede.
     Se bene il corso al giovane diletta,
     Più lo splendor può in lui, ch’ella possiede;
     E tanto più che ’l corso, che la spinge,
     Di più beltà la sua beltà dipinge.

Quella dolce aura, che dal corso nasce,
     Gratia infinita in ogni parte dalle.
     L’ale, ch’ha ne’ conturni, alza, e le fasce,
     C’ha di sotto al ginocchio, e volar falle.
     Il biondo, e sottil crin forz’ è, che lasce
     Veder mentre alza il vol l’eburnee spalle.
     Il candor de le carni alquanto acceso
     Un purpureo color più bello ha preso.

Come s’al muro candido di latte
     Un teso vel purpureo asconde il cielo,
     L’aer, che sopra lui fere, e combatte,
     Pinge nel bianco il bel color del velo:
     Tal co’l candore in lei l’ardor combatte,
     E l’ostro adombra il bel color del gielo.
     Vince intanto la vergine, e di palma
     S’orna, e corona, e toglie al vinto l’alma.

Se ben fa dar la vergine la morte
     Al vinto, come à molti anchor fè prima,
     Pur vuol tentare Hippomene la sorte,
     Che già più lei, che la sua vita stima.
     E in questa opinion costante, e forte
     Attende, che la donna ogni altro opprima:
     Che mandi à regni lagrimosi, e bui
     Quei, che fur posti in lista innanzi à lui.

Ne viene intanto Hippomene al mio tempio,
     E dice. Ó santa Dea, madre d’Amore,
     Poi ch’è piaciuto al tuo figliuol l’essempio
     Di questa donna imprimermi nel core;
     Non voler, che ’l coltello ingiusto, et empio
     Accorti à la mia vita i giorni, e l’hore.
     Ma fa la gamba mia tanto spedita,
     Ch’à gli altri scritti poi salvi la vita.

Da me, che tutto Amore ho il volto, e ’l seno,
     Gratia à devoti miei mai non si niega,
     Anzi con volto lieto, almo, e sereno
     Così contento Hippomene, che priega.
     Nel mio campo Ciprigno Damaseno
     D’un puro, e forbit’ or la chioma spiega
     Un’ arbor, che ’l suo lume à molti asconde,
     E d’oro i frutti, i rami have, e le fronde.