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Persegui i caprij, e le fugaci dame,
     Mostrati ne le lepri ardito, e forte:
     Ma fuggi i denti, e la rabbiosa fame
     Del lupo, e l’unghie orsine acute, e torte.
     Deh dolce anima mia serva lo stame
     De la tua vita à più matura morte.
     L’ardir contra l’ardir non è sicuro,
     Ma spesso priva altrui del ben futuro.

La verde età, l’aspetto almo, e giocondo,
     Che suol mover per se l’humana gente,
     Non move il ferin lume, et iracondo,
     Ne la malvagia lor natura, e mente.
     Sprezza il leone ogni animal del mondo,
     Il folgore il cinghial porta nel dente.
     Contra alcuno animal desir non t’arme,
     Che de l’unghia, e del dente oprar può l’arme.

Ma più d’ogni animal da me si fugge,
     E tu, se saggio sei, fuggirlo dei,
     Quel, che più crudo altrui fa danno, e rugge,
     Che già sprezzò la madre de gli Dei.
     Non sol, perche gli armenti empio distrugge,
     Ma per i vitij suoi nefandi, e rei.
     E prima, che d’ambrosia il ciel mi pasca,
     Ti vò contar quest’odio donde nasca.

Sediamo à l’ombra qui di guesto faggio,
     Ch’ond’è, ch’odio il Leon, ti vò scoprire.
     S’asside Adon, che ’l non inteso oltraggio,
     Ch’à Cibele si fè, brama d’udire.
     Pongli ella il capo in seno, et alza il raggio
     Al suo bel volto, e poi comincia à dire.
     E d’ interposti baci, mentre dice,
     L’avida bocca sua rende felice.

Sentito hai forse dir d’una Atalanta,
     C’hebbe nel corso si veloce il piede,
     Che d’huom non ritrovò si presta pianta,
     Che non perdesse il corso, e la mercede.
     À quel dotto huom, che questa istoria canta,
     Si dè prestare, Adon, sicura fede.
     Ch’ io v’era, e dubbia son nel mio discorso,
     Se più ne la beltà valse, ò nel corso.

Costei volle saper da Temi un giorno,
     Se bene era per lei prender marito.
     Guarda (disse la Dea) che n’havrai scorno;
     Fuggi pur sempre il coniugale invito.
     Ne’l fuggirai, ch’un d’ogni gratia adorno
     Te n’ han gli eterni fati stabilito.
     Ma per far seco un torto ad una Diva,
     Mancherai di te stessa essendo viva.

Caccia ella sbigottita da la sorte,
     Hor la fugace, hor la feroce belva.
     E per vivere ogn’hor senza consorte
     La città lascia, et habita la selva.
     Ma de la sua bellezza ogni huom di sorte
     Arde, che per mirar segue, e s’ inselva.
     E questi, e quei da l’amorose voglie
     Spronati ogni opra fan per farla moglie.

Per torsi da le spalle un tanto peso
     Al fin con guesti accenti aprì le labbia.
     Sposo non prenderò, che pria conteso
     Nel corso meco, e vintomi non habbia.
     Ma s’alcun perderà, vò, che sia preso,
     E renda l’alma à la tartarea rabbia.
     Sua sposa mi farà, s’havrà la palma,
     Ma se perderà me, perd’ anche l’alma.

Se ben mostrò d’ogni pietà rubella
     La superba Atalanta haver la mente,
     Potè la forma oltre ogni creder bella
     Più de la legge sua poco clemente.
     E se ben superò leggiadra, e snella
     Più d’un disposto giovane, e possente,
     E fegli dare à l’ultimo riposo,
     À correr sempre havea con novo sposo.

Chi primo comparia, prima era scritto,
     E venia prima à la dannosa prova.
     Tal, ch’ ogni giorno al regno atro, et afflitto
     Sforzata era à mandar qualche alma nova.
     Hor mentre havere anchora il piede invitto
     Non senza sua superbia si ritrova;
     Hippomene compar leggiadro, e bello
     Per veder lei co’l piè veloce, e snello.