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Hor mentre egli ama in Tracia una donzella
     Del più possente amor detta Euridice,
     E co’l possente suo suono, e favella
     Fà, ch’ella al caldo amor suo non disdice:
     Con Giuno, et Himeneo Venere appella,
     Che ’l novo nodo lor rendan felice.
     Nulla può di Giunon mover la mente,
     Che mal di quelle nozze augura, e sente.

Ma la madre dolcissima d’Amore
     Non seppe contradire al dolce canto.
     V’andò seco Himeneo, ma ’l suo favore
     Non fè segno di gioia, ma di pianto.
     Venere accese in lor del par l’ardore,
     Ne so, se sposi mai s’amasser tanto.
     Ma mentre, ch’ Himeneo legar gli volse,
     Con gran difficultà la lingua sciolse.

La face accesa anchor, che in man vi tenne,
     Non potè far giamai, ch’alzasse il lume,
     Stridendo al fumo fe batter le penne,
     Come l’havesse alcun sparsa co’l fiume.
     Ma peggio augurio diè quel, ch’ ivi avenne,
     Quando la sposa entrò pria ne le piume,
     Ch’ improviso soffiò nel lume un vento,
     E restò il foco suo del tutto spento.

Ne passar molti dì, che corrispose
     Al tristo augurio il doloroso effetto.
     Andando un dì costei con altre spose
     Premendo per diporto al prato il letto,
     Sopra un serpente à caso il piede pose,
     Che stava in molti giri avolto, e stretto.
     La piagò il serpe à un tratto nel tallone,
     E fè passarla al regno di Plutone.

Poi che ’l consorte suo nel mondo aperto
     Hebbe assai pianto il suo perduto bene,
     E vide non poter trarne alcun merto,
     Poi che ’l regno infernal l’asconde, e tiene:
     Pensò d’andar nel mondo atro, e coperto
     Da le spoglie oscurissime terrene.
     E se n’andò per la Tenarea porta
     À rispirar ne l’aria oscura, e morta.

Per lo popol ne và, ch’è ignudo, e scarco
     Del suo mortale incenerito pondo,
     E dopo molti passi arriva al varco,
     Dove siede Pluton nel maggior fondo.
     Quivi accordando à versi i nervi, e l’arco,
     Disse. Ó voi Dei del più fondato mondo
     Non punite per hor l’umano orgoglio,
     Ma date luogo alquanto al mio cordoglio.

Così pij trovi voi verso il mio canto,
     Come nel verso mio non è bugia;
     Non vengo io per far guerra à Radamanto,
     Ne per veder come l’ inferno stia;
     Non per rubare à la città del pianto
     Cerbero, e darlo à l’alta patria mia:
     Ma vengo per haver la mia consorte,
     Che sopra innanzi al tempo hebbe la morte.

Cercato ho superar l’aspro dolore,
     E senza lei goder l’aperta terra;
     Ma vinto ha finalmente il troppo amore,
     E m’ha fatto per lei scender sotterra.
     Ovunque alluma il Sol co’l suo splendore,
     Contra ogni core Amor vince la guerra.
     E se i libri non son bugiardi, e rei,
     Amor legò anchor voi tartarei Dei.

Vi prego per l’ imperio, che tenete
     Sopra le trapassate, e misere ombre,
     Per queste sepolture atre, e secrete,
     Da la luce del mondo ignude, e sgombre;
     Che far le voglie mie vogliate liete,
     Che di me giusta pieta il cor v’ingombre;
     Che lasci l’amor mio l’averno lago,
     E viva il tempo à lei tolto dal drago.

Tutto si debbe à voi l’humano ingegno,
     Tardi, ò per tempo ogn’un quà giù discende.
     Tutti n’acceleriam solo ad un segno,
     Quest’è l’ultimo albergo, che n’attende.
     Voi tenete il perpetuo immobil regno,
     Che tutto il germe human riceve, e prende.
     L’alto vostro poter basso, et inferno
     Terrà di tutti noi lo scettro eterno.