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Ifi mentre fingea d’esser fanciullo,
     À più d’una donzella accese il petto.
     E l’ultimo bramar seco trastullo,
     Quel, che può dare amor maggior diletto.
     Et Ifi il lor desio non rendea nullo
     Co’l mostrarsi contrara al loro affetto,
     Ma solea con parer ben finto, e saggio
     Lascivo riscontrar raggio, con raggio.

Hor mentre per mostrar, che la sua gonna,
     Che porta, come gli huomini, non mente;
     Rende lascivo il guardo à quella donna,
     Che del suo amor conosce essere ardente;
     Passa per gli occhi al core, e vi s’ indonna
     L’ imagine d’ Iante alma, e lucente.
     E può si d’una vergine il sembiante,
     Ch’una rende di se vergine amante.

Quel voler finger l’huom co’l tempo havea
     Ne l’imagination potuto tanto,
     Che ingannò anchor se stessa; e le parea
     D’esser quel, che mostrava il viril manto.
     Hor mentre, che d’amore ogn’una ardea,
     Odon, che i padri il matrimonio santo
     Giurato han per lor due su’l libro pio,
     E fa crescer l’ardor d’ambe, e ’l desio.

Pari eran de l’angelica presenza,
     Quanto à l’etate, ogn’una era fanciulla,
     E pari anchor ne la benevolenza,
     Da che le membra lor lasciar la culla.
     Ma fur dispari ne la confidenza,
     Ch’una molta n’havea, ma l’altra nulla.
     Del par le strinse l’amoroso nodo,
     Ma non si confidaro ambe ad un modo.

Si confidava ben la bella Iante
     Ne la guerra d’amor lieta, e gioiosa
     Di star al par del suo diletto amante,
     E fare à pien l’officio de la sposa.
     Ma l’altra, à cui quell’arma più importante
     Mancava, che suol l’huom tenere ascosa;
     Non havea fè ne l’amoroso invito,
     Di fare à pien l’officio del marito.

E pur ardea di lei si caldamente,
     Havea si acceso il cor d’ unirsi à lei,
     Che ’l più caldo garzon, forte, e possente,
     Ch’uscisse mai de’ regni Citherei,
     Bramati non havria con più fervente
     Ardore, e sete i promessi Himenei.
     Poi vedendo il suo errore, e ’l suo difetto
     Solea sfogare il cor con questo affetto.

Che fo, misera me, che fine attendo
     Di questo mostruoso, e novo ardore ?
     À che folle desio la mente intendo ?
     Perche seguo io si manifesto errore ?
     Me stessa con altrui del tutto offendo,
     Co’l manto tinto altrui, me con l’amore.
     Che ’l cor, che in una vergine si tiene,
     Fonda in un’altra vergine la spene.

Deh sommi Dei de la celeste corte
     Senza haver l’occhio à miei commessi errori,
     Fatemi, prego, gratia de la morte,
     E date fine à miei nefandi ardori.
     Ó se per darla à le tartare porte
     Non volete da me l’alma trar fuori,
     Datemi un’altra pena, e anchor che dura,
     Contra l’uso non sia de la Natura.

Se ’l toro contra il toro alza le corna,
     Per la femina il maschio il cozzo attacca;
     Ma la vacca non mai la vacca scorna
     Per acquistar l’amor d’un’altra vacca.
     Per una agnella amabile, et adorna
     Il monton al monton le corna fiacca;
     Ma non cozza giamai la lor sorella
     Per guadagnar l’amor d’un’altra agnella.

L’amata sposa sua vagheggia il pardo,
     E poi la ’nvita à l’amoroso gioco.
     Rende à l’amata il bel colombo il guardo,
     E dati i baci al lor desio dan loco.
     Sente il delfin da l’amoroso dardo
     In mezzo à tanto mar l’ardor del foco,
     Lo stesso ardor la sua consorte preme,
     E al fin del lor amor godonsi insieme.