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Ne sol le par d’amarlo, e di vedello,
     E di stupir del suo divino aspetto,
     Ma d’abbracciarlo, e poi girsen con ello,
     E goder seco al fin l’ infame letto.
     Pur si rimembra in quel, che l’è fratello,
     E ben che ’l sonno anchor l’ ingombri il petto,
     Per la vergogna fa vermiglio il volto,
     E fa restare il cor dal sonno sciolto.

Da poi, ch’insieme il sonno, e ’l sogno sparve,
     Stette un gran tempo sbigottita, e muta.
     E poi ch’entro à la sua memoria apparve
     L’imagin, che sognando havea veduta;
     Dove quella beltà goder le parve,
     La qual non havea mai desta goduta,
     La biasma, la rimembra, e la rappella,
     E dentro al dubbio cor cosi favella.

Misera me, che sogni iniqui, e rei
     Turban la mente già pudica, et alma?
     E fanno ingiusti i casti pensier miei,
     E d’illecito amor m’accendon l’alma?
     Giamai non piaccia à sempiterni Dei,
     Ch’ io gravi l’honor mio di si ria salma.
     Non piaccia al glorioso alto governo,
     Ch’altro sia l’amor mio, ch’amor fraterno.

È bello sopra ogn’altro, e in vero è tale,
     Che costringe il nemico ancho à lodarlo,
     E se fratel non fosse al mio mortale,
     Sposo potrei meritamente amarlo.
     Fugga pur via l’affetto empio, e carnale,
     Non mai più il sogno rio venga à destarlo.
     E resti quell’amor fido, e pudico,
     Che l’ama haver fratello, e non amico.

Ma pur, c’habbia il pensier lodato, e santo,
     Mentre contemplo il dì la sua bellezza,
     Perche debb’io spregiar quel sogno tanto,
     Che m’hà fatto sentir si gran dolcezza?
     Senza, ch’offenda il mio terreno manto,
     Mi dà il sogno quel ben, che più amor prezza.
     Ne può al mio amor trovarsi il più bel modo,
     Che ’l cor non pecca, io non offesa il godo.

S’al soave d’amor sommo diletto
     Non si pervien, se non à coppia à coppia,
     Poi che v’è necessario più d’un petto,
     Con testimonij amor gli amanti accoppia.
     Ma senz’arbitro alcun, senza sospetto
     Il sogno co’l mio amor mi lega, e addoppia.
     Lontano è il testimonio al mio trastullo,
     Ma l’ imitato amor non è già nullo.

Ó dolce sogno, ò Venere, ò Cupido
     Quanto fu il mio piacer, quanto il mio bene,
     Mentre hebbe il sonno entr’al mio petto il nido,
     E fe del dolce fin lieta la spene.
     Ó quanto anchor piacer nel core annido,
     Quando di parte in parte me’n soviene.
     Fu breve il mio diletto, ma si grato,
     Che più nel ciel gli Dei non l’han beato.

Ó invidiosa al mio stato felice
     Alba, ch’apristi à miei lumi le porte.
     Ó quanto erra d’assai ciascun, che dice,
     Ch’una imagine il sonno è de la morte.
     Che l’esser desto è una morte infelice,
     Soggetta ad ogni estrema, et empia sorte.
     Scarca d’affanni almen la notte ho posa,
     E viver mi fa il sonno allegra, e sposa.

Fu ’l mio beato sogno breve, e finto,
     Ma ’l vegghiare, e ’l dolore è lungo, e vero.
     Hor s’è si dolce un ben corto, e dipinto,
     Che mostra il sogno al non desto pensiero,
     Che saria, se ’l mio amor tenessi avvinto
     Gran tempo, quando ho sciolto il senso, e intero?
     Ben da me posso imaginarmi quanto
     Sia il ver piacer d’amor, se ’l finto è tanto.

Deh torna dolce sonno, e da anchor loco
     Con quel finto trastullo al grande ardore.
     Ma mentre son ne l’amoroso gioco,
     E godo il maggior ben, che porga amore;
     Del mio tanto piacer ti caglia un poco,
     Lascia dentro sfogar l’acceso core.
     Se in sogno sposa à lui vivo, e respiro,
     Non far, ch’ io porti invidia al Tasso, e al Ghiro.