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Hor mentre di dar fondo il buon nocchiero
     In qualche sen coperto si procaccia,
     Da tramontana sorge horrido, e altero
     Un vento, che da l’ isola lo scaccia.
     Subito il buon nocchier cangia pensiero,
     E volta verso l’Africa la faccia.
     E fa camin contrario al suo disegno
     Per dar men noia al combattuto legno.

La traversia di Greco in tutto manca,
     E vien sol da maestro, e tramontana.
     E l’onda sempre più rompe, et imbianca,
     E ’l legno più da l’isola allontana.
     Men di quel, che vorria, tiensi à man manca
     Per la forza di Circio iniqua, e strana
     Il misero nocchier, ch’accorto, e saggio
     Si toglie men che può dal suo viaggio.

Con poca vela và ristretta, e bassa,
     Et à l’arbor maggior dà sol quel vento,
     Che fà, che la galea divide, e passa
     Le gran botte del mar con men tormento.
     De l’humil turba sbigottita, e lassa
     Star al suo officio ogn’un si vede intento.
     Stà ogn’un pronto al servitio, al quale è buono
     Per obedir (pur che s’udisse) al suono.

Ma tanto orgoglio, e horror ne l’aria freme,
     Si grande è ’l mormorio de le rott’onde,
     Del grido human, de la galea, che geme
     Ne la prua, ne la poppa, e ne le sponde
     Co’l romor de le corde unito insieme,
     Che del fischietto il suon fra lor s’asconde,
     E non, che in prora quei, ch’à lui son presso,
     No’l ponno udir, ne quel, che ’l suona istesso.
     
Ma dove il suon non val, supplisce il grido.
     E perche il mar già qualche remo ha rotto,
     Accenna con la mano, alza lo strido,
     Che dentro il palamento sia ridotto.
     Lo stuol poi ver la prora schiavo, e infido
     Fà sferrar tutto, e imprigionar di sotto,
     Perche sferrato insieme non s’ intenda,
     E per la libertà l’arme non prenda.

L’onde una appresso à l’altra eran si spesse,
     E tanto alcun talhor tenean coperto,
     Che non havea donde spirar potesse,
     E fur cagion, che ’l capitano esperto
     Di sferrar sol quei de la prora elesse,
     Ma non, che stesser franchi al discoperto.
     E tanto più, c’havean gli ondosi torti
     Già dentro à la galea due schiavi morti.
     
Anchor che chiusi sian tutti i portelli,
     E stian di sotto à lume di candela;
     Se ben v’ han sopra le bovine pelli,
     Onde ogni fesso lor meglio si cela;
     Pur quando entran del mar gli aspri flagelli,
     Qualche poco d’humore indi trapela:
     Ma quei di sotto v’ han gli occhi, e l’orecchie
     E con sassole, e spugne empion le secchie.

Con occhi d’Argo guardan quei di sopra,
     Ch’ogni rimedio lor sia fatto à segno.
     E che per gettar l’acqua il balcon s’opra,
     Quando men nocer può l’ondoso sdegno.
     Gettato il mar nel mar fan, che si copra,
     Inchiudan poi le pelli sopra il legno
     Con chiodi, che non fan nel legno fossa,
     Ma saltan tutti fuor con una scossa.

La notte già co ’l tenebroso manto
     Per tutto l’aere havea renduto oscuro,
     E ’l vento, e ’l mar cresciuto era altrettanto,
     E fatto il lor periglio men sicuro:
     Solo un conforto è à lor rimaso in tanto
     Notturno stratio, periglioso, e duro,
     C’hanno il mar largo, e per l’ondoso orgoglio
     Trovar non ponno insino al giorno scoglio.

Vuol ne la prima guardia de la notte
     Il comito alternar la poggia, e l’orza,
     E mentre il credon far, del mar le botte
     Copron la ciurma, e ’l vento alza, e rafforza,
     Tanto, che fa cader l’antenne rotte,
     E tanto del cader grande è la forza,
     Che storpia, e uccide, e fà, ch’ in poppa, e ’n prora
     Il legno morto un’altra volta mora.