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Giunone hebbe una figlia senza padre,
     Bella quanto altra il ciel giamai ne vide.
     Le cui rare bellezze alme, e leggiadre
     Fan, che la gioventù governi, e guide.
     Questa in segno d’amor legò la madre
     Co’l Nume fatto in ciel beato Alcide.
     E l’odio, che l’accese un tempo il core,
     Tutto fu poi concordia, e vero amore.

Fatte le nozze, e quel diletto preso,
     Che può dare una Dea bella, et eterna,
     Com’ ha da la consorte Hercole inteso,
     Ch’ella la gioventù guida, e governa;
     Verso il congiunto suo d’amore acceso
     Scopre con preghi à lei la voglia interna,
     Che poi, ch’ella dà legge à i più begli anni,
     Privi Iolao de suoi canuti affanni.

Non nega di Giunon la bella figlia
     Il primo don, ch’à lei chiede il consorte,
     Ma con di tutti invidia, e maraviglia
     Fà venire lolao giovane, e forte.
     Ma ben per l’avenir partito piglia
     Di non romper mai più la fatal sorte,
     E de la gioventù tener ben cura,
     Ma lasciar fare il corso à la natura.

Hor mentre co’l giurar chiuder la porta
     Vuol per ogni mortale à tanto dono,
     S’oppon la fatal Themi, e no’l comporta,
     E dice. Non giurar, ch’anchor vi sono
     Due figli infanti, il cui fato non porta,
     Che sian dal ciel lasciati in abbandono;
     Anzi egli vuol, quando fia ’l tempo giunto,
     Che vengan forti, e giovani in un punto.

E tosto fia, che se chinate il viso,
     Già Polinice à Thebe il campo ha spinto,
     Ú sendo l’un fratel da l’altro ucciso
     Ogn’un del par fia vincitore, e vinto.
     Dove, perche più il ciel non sia deriso,
     Sarà il fier Capaneo da Giove estinto.
     Le cui superbe, e soprahumane prove
     Altri non potrà mai vincer, che Giove.

Anfiarao profeta illustre, e degno,
     Ch’andrà contra sua voglia à quella guerra,
     Sarà inghiottito, e dato al basso regno
     Da la subito aperta, e chiusa terra.
     Dove non senza suo dolore, e sdegno
     Vivi i due Genij suoi vedrà sotterra,
     E ’l foco, ch’arderà la carnal salma,
     Rogo al corpo sarà, tormento à l’alma.

Indi il figliuol de l’ inghiottito mago,
     Nominato Almeon, quand’havrà scorto
     Da la terrena, e subita vorago
     Restare il padre suo sepolto, e morto,
     Ucciderà de la vendetta vago
     Per vendicare un torto con un torto
     La madre, e sarà in un pietoso, e rio,
     Ne la madre crudel, nel padre pio.

Però, che quando havrà il profeta letto,
     Ch’in quella impresa ei doverà morire,
     S’asconderà per non esser costretto
     D’andare à farsi subito inghiottire;
     Ma l’avaritia ingombrerà si il petto
     À Erifile sua moglie, che scoprire
     Le farà il loco, ov’ei sarà coperto,
     Per un ricco monil, ch’à lei fia offerto.

Quel bel monil, che fabricò Vulcano
     Con tante gemme, pretiose, et arte,
     E ch’à la sposa diè del Re Thebano,
     Che fu figlia di Venere, e di Marte,
     E d’Argia moglie capitato in mano
     Di Polinice, et ella l’ ha in disparte
     Ad Erifile offerto con proposto,
     Che mostri Anfiarao, dov’è nascosto.

E poi c’havrà scoperto il suo consorte
     Erifile, e sarà dal figlio uccisa,
     Il crudo auttor de la materna morte
     La mente da se stesso havrà divisa,
     E con le Dee de la tartarea corte
     L’ombre materne il pungeranno in guisa,
     Che fuor del senno, e de la patria uscito
     Un tempo andrà, poi si farà marito.