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E dolce disse, ò caro amico, e fido
     Ti do de l’amor mio questo per pegno,
     E tosto ch’ io su’l rogo il fianco annido,
     Co’l foco alluma il fabricato legno.
     Però che del mio padre il santo grido
     Chiama il mio spirto al sempiterno regno.
     Bacia il suo amico, il qual piangendo il mira,
     Poi con invitto cor monta la pira.

La pelle del Leon sopra vi stende,
     Sopra la clava poi la guancia posa,
     E con quel lieto core il foco attende,
     Co’l qual suolsi aspettar la nuova sposa.
     La pietra Filottete, e ’l ferro prende,
     E la favilla trahe nel sasso ascosa:
     Poi di più ardor se stesso il fuoco adorna,
     E contra chi lo sprezza, alza le corna.

S’alza la vampa al ciel sempre maggiore,
     Crescon per ogni via le fiamme nove.
     Quando vider gli Dei con tanto ardore
     Il fuoco andar contra il figliuol di Giove,
     Sentir di lui pietà, noia, e timore,
     Che ’l mondo liberò con tante prove:
     E mostrando ciascun pietoso il ciglio,
     Raccomandaro à Giove il proprio figlio.

Il Re del ciel, che vede il grato affetto,
     Che mostra al figlio il choro alto, et eterno,
     Disse. Sommo piacer m’ ingombra il petto,
     Per la grata pietà, ch’ in voi discerno.
     Immensa sento al cor gioia, e diletto,
     Che ’l gran rettor del regno almo, e superno
     Sia con suo grande honor da ogn’un chiamato
     Padre, e rettor d’un pio popolo, e grato.

Mi piace, che la mia divina prole
     Anchor sicura sia col favor nostro.
     Ma la salute sua poi, che ve’n dole,
     Sta per torvi il timor nel pensier nostro.
     E quel, c’ha superato, ovunque il Sole
     La terra alluma, ogni periglio, e mostro,
     Questo novo tormento estima poco,
     E vuol la forza anchor vincer del foco.

La parte, che ritien grave e materna
     Può sol sentir la forza di Vulcano.
     Ma quella parte, c’ hà dal padre interna,
     Non può perire, e l’arde il foco in vano.
     Però ch’è inviolabile, et eterna,
     E bramo torla al suo carcere humano,
     Acciò ch’al al regno, ond’ ha principio, torni,
     E del suo chiaro lume il cielo adorni.

E come la sua invitta, e nobile alma
     Scarca sarà dal suo mortal tormento,
     Vo, che venga à la patria eterna, et alma,
     E credo, ch’ ogni Dio ne sia contento.
     Che s’ei portò là giù per noi la palma
     Di mille imprese carche di spavento,
     Giusta cosa mi par, che ’l suo gran lume
     Nel ciel risplenda, e sia celeste Nume.

E s’avien, ch’alcun Dio quà sù si doglia,
     Che egli fra gli altri Dei splenda anchor Dio,
     Ben potrà de’ suoi premij haver gran doglia,
     Ma non già mover me dal pensier mio.
     E farò, che ’l vedrà contra sua voglia
     Starsi fra quei del regno eterno, e pio;
     E ’l merto anchor saprà, ch’al cielo il chiama,
     E l’approverà Dio, se ben non l’ama.

Gli Dei tutti assentir con lieto volto
     À quel, che far d’Alcide il padre elesse.
     Giunone anchor mostrò piacerle molto,
     Mentre affermò, ch’entro à le fiamme ardesse.
     Ma quando udì, ch’ in ciel fosse raccolto,
     E che di stelle anch’ei vi risplendesse,
     Tra se biasmò lo Dio de gli altri Dei,
     Che vide, che nel fin sol disse à lei.

L’ardente fiamma havea distrutto intanto
     Tutto quel, che Vulcan strugger potea,
     E già lasciato Alcide il carnal manto
     Più la materna effigie non havea.
     Sol quel, che stava in lui perpetuo, e santo,
     Del suo lume divin tutto splendea,
     E lasciavan veder le forme nove
     Sol la divinità, c’hebbe da Giove.