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Per torle il servo accorto ogni sospetto,
     Tosto, che ’l cor di lei geloso vede,
     Giovane (disse) è d’un gentile aspetto,
     Non però di bellezza ogni altra eccede:
     Ne pare à gli occhi miei si raro obbietto,
     Ch’ ei debba à voi per lei mancar di fede.
     Quel, che ne pensa far, dir non saprei,
     Ne che n’arda d’amor, creder potrei.

Se ben pensa di dar qualche conforto
     À la sospetta donna il messo fido,
     Non può far, che non creda, e forse à torto
     Quel, che sparso n’havea la fama, e ’l grido.
     Per non far del suo pianto il servo accorto,
     Mentre intende biasmar lo sposo infido,
     Và in parte, (e dice à lui, ch’ ivi l’attenda)
Ú si possa doler, ch’ei non intenda.

Dunque è pur ver, che questa Iole serba
     Per sue delitie il mio stolto marito?
     Ch’essendo bella, e ne l’eta più acerba,
     Può dar ricetto al suo folle appetito.
     Et una infame andrà lieta, e superba
     D’un amante si forte, e si gradito ?
     Et io, che son la sua pudica moglie
     N’andrò priva di lui, colma di doglie?

Non tien con questo dire il viso asciutto,
     Ma sparso, e pien di copioso pianto:
     E chiama il suo consorte ingrato in tutto,
     E gli dà fra gl’infidi il primo vanto.
     Disse (vedendo poi senz’alcun frutto
     Le lagrime, onde è molle il viso, e ’l manto)
     Non moverà il mio lutto Hercole à pieta,
     Ma la nemica mia farà ben lieta.

Miglior rimedio qui trovar conviene.
     Qui il pianto in tutto ho da lasciar da parte.
     Ne debbo io far querela? ò pure è bene,
     Ch’io taccia? et usi anch’ io la froda, e l’arte?
     E come il tempo commodo mi viene,
     Vendichi à pien le lagrime, c’hò sparte?
     Ma debbo intanto al Calidonio regno
     Tornarmi? ò passar qui l’ ira, e lo sdegno?

Ma non debbo mostrar, com’ io son quella,
     Che nacqui già de la crudele Althea?
     E che di Meleagro io son sorella,
     Che fe bere à due zij l’onda Lethea?
     Non debbo io far ver lui l’alma rubella,
     S’egli ha ver me la mente ingiusta, e rea?
     S’ella uccise già il figlio, il figlio il zio,
     Ben torre à due stranier l’alma poss’io.

Se l’effetto sarà, come io vorrei,
     E farà l’error mio pare à la voglia,
     Farò vedere al mio marito, e à lei
     Quel, che può far la muliebre doglia.
     Ne mi torrò da i novi pensier miei,
     Ch’à le lor membra l’anima non toglia.
     Mostrerò lor con più d’un corpo essangue,
     Quel, ch’è far’ onta al Calidonio sangue.

Ma non è degno, ch’io del mio consorte
     (Senza tentar qualche parer più giusto)
     Dia cosi tosto à la spietata corte
     Di Stige l’alma, et à la tomba il busto.
     S’han rimedij à tentar di varia sorte
     Per torlo à questo amore indegno, e ingiusto:
     E s’avien poi, che pur la tenga, e l’ami,
     Tutti i modi à tentar s’ hanno più infami.

Dopo vario pensar le cade in mente
     De la camicia, c’hebbe dal Centauro,
     La cui virtù per quel, ch’ella ne sente,
     Può dare al morto amor forza, e ristauro.
     Già molto prima ad una sua servente
     L’havea fatta adornar di seta, e d’auro:
     Il cui ricamo d’or, d’ostro, e di seta
     Lo sparso sangue à l’occhio asconde, e vieta.

Poi, che la donna dal Centauro intese,
     Che ’l sangue al morto amor potea dar forza,
     Perche non fosse schiva à l’occhio, prese
     Parer di dare al sangue un’altra scorza.
     E con vermigli fior tale il lin rese,
     Ch’ogni occhio à creder, che vi guarda, sforza:
     Che i vaghi, e sparsi fior, ch’ornano il panno,
     Non denno altrove star, che dove stanno.