Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/321

Dove fuggi ladron, dove ti porta
     Del tuo piè cavallin la falsa spene?
     Dove porti crudel la vera scorta
     D’ogni riposo mio, d’ogni mio bene ?
     E pur ti dovrian far la mente accorta
     Del padre ingiusto tuo l’eterne pene,
     Che per lo suo adulterio ne lo inferno
     Rotato ha sempre, e roterà in eterno.

Se pensi di fuggir, molto t’inganni
     Co’l tuo cavallo il meritato male,
     Che s’io non ti potrò giungere, i vanni
     Ti giungeran del mio veloce strale.
     Perche la donna sua fugga quei danni,
     Che le può dare il suo dardo mortale,
     Prende sopra la sposa alta la mira,
     E l’arco più, che puote, incurva, e tira.

Sopra i capei de la sua donna bella,
     Mentre il Centauro rio più il corso affretta,
     Nel tergo humano avelenata, e fella
     Fere la velocissima saetta.
     Com’ei sente lo stral, fra se favella,
     Non vò però morir senza vendetta:
     Gl’insanguinati lini al dosso toglie,
     E cosi inganna poi l’Herculea moglie.

Questa del sangue mio vermiglia spoglia
     Ha in se virtù mirabile, e valore,
     Che verso chi la dona, accende, e invoglia
     Chi in don l’ottien del suo possente amore.
     Hor se giamai da l’amorosa voglia
     Sarà per tempo alcun preso il tuo core,
     Dona à quel, ch’ami, il mio sangue qui sparso,
     E ’l vedrai dal tuo amor legato, et arso.

Che pur che da tua parte il dono ei prenda,
     Sarai de l’amor suo fuor di sospetto,
     Che sol di te forz’è, ch’Amor l’accenda,
     E che d’ogni altro amor privi il suo petto.
     Perche ’l tuo dubbio cor veda, et intenda
     Quanto fosse ver te caldo il mio affetto,
     Innanzi al mio morir, cui vicin sono,
     T’ho voluto arricchir di questo dono.

La semplice d’Eneo credula figlia,
     Che la virtù mentita al mostro crede,
     Il falso don dal rio Centauro piglia,
     E in parte il chiude poi, che non si vede.
     Il figlio d’Ission chiude le ciglia,
     E manda l’alma à la tartarea sede.
     Giunge Alcide à la sposa, e via la mena
     Ver la città, che bee de l’onda ismena.

Passati non che gli anni erano, i lustri
     Dal dì, ch’ei giunse sposo à la sua terra,
     E già facean d’Alcide i fatti illustri
     Stupir del suo valor tutta la terra:
     Ch’ovunque avien, ch’Apollo il mondo illustri,
     Chiare memorie havean de la sua guerra.
     Ne sol pugnato havea per tutto, e vinto,
     Ma l’odio anchor de la matrigna estinto.

Quando ei tornato vincitore un giorno,
     Vinta l’Ecalia, e la città d’Erito,
     Sopra il monte Ceneo l’altare adorno
     Di Giove intendea farvi il sacro rito.
     E già la fama havea sparso d’ intorno,
     Ch’Alcide in quella pugna havea rapito
     Detta per nome Iole, una donzella
     Sopra ogni altra fanciulla adorna, e bella.

Hor quando vuol dopo tanta fatica
     Rendere honor co’l sacrificio al padre,
     Che fè tanto di lui la sorte amica,
     Che potè superar l’Ecalie squadre;
     Fà un fedel servo suo, nomato Lica,
     Gir per le vesti pie, ricche, e leggiadre,
     Che servate gli havea la moglie intanto,
     E ch’al culto servian fedele, e santo.

La gelosa consorte, c’havea inteso
     Da la bugiarda ogn’hor cresciuta Fama,
     Che havea del suo marito il petto acceso
     La gran beltà de l’acquistata dama:
     Pria, che ’l servo leal gravi del peso
     De panni, che ’l consorte aspetta, e brama,
     Chiede, se Iole è bella, e con qual modo
     Preso habbia Alcide à l’amoroso nodo.