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La più prudente Ninfa, e meglio ornata,
     Coronata di fior lo sparso crine,
     Da le più belle Ninfe accompagnata
     Sacra con cerimonie alme, e divine
     Il mio corno à la Dea fertile, e grata,
     La cui felice copia è senza fine.
     Tal che la Dea contraria de l’ inopia
     Dal corno mio più ricca hoggi ha la copia.

Io mi trovai scornato, e senza moglie,
     Con doppio dishonor, con doppio affanno,
     Ben c’hoggi con corone, e canne, e foglie
     Di salce ascondo alla mia fronte il danno.
     La notte ascose havea l’accese spoglie
     Del biondo Dio col tenebroso panno,
     Quando honorò con gli altri il grato Fiume
     Teseo co’l cibo pria, poi con le piume.

Ben che promise lor nel novo giorno
     Di contar quel, ch’avenne al forte Alcide,
     Ma come fuor del mar di raggi adorno
     L’apportator del dì da lor si vide,
     Far più non si curar seco soggiorno,
     Poi che lor l’onda il passo non recide.
     Teseo con gli altri al suo camin si tenne,
     Senza udir quel, che poi d’Hercole avenne.

Però che se ben’ Hercol fù si forte,
     Che vinse in guerra il Calidonio Dio,
     E per premio acquistò quella consorte,
     Che potea far più lieto il suo desio:
     Da la non saggia moglie hebbe la morte,
     Nel celebrare al ciel l’officio pio,
     Ch’un dubbio, onde ella assicurar si volse,
     À se il marito, à lui la vita tolse.

De la nova vittoria Hercole altero
     Tornava con la sposa al patrio regno:
     Ma l’onda Evena gli tagliò il sentiero
     Superba uscita allhor fuor del suo segno.
     Egli per tutto dà l’occhio, e ’l pensiero,
     Se v’è per passar lei ponte, ne legno:
     E mentre cerca in ogni parte il lido
     Nesso incontra gli vien Centauro infido.

Nesso non men d’Alcide haveano preso
     I bei lumi di lei, le chiome bionde,
     E ver lui disse à l’empia froda inteso,
     S’à nuoto ti da il cor passar quest’onde,
     La donna tua per me fia leggier peso,
     E per tuo amor darolla à l’altre sponde.
     Hor se di te non hai, ma di lei tema,
     Fà, che la donna à me la groppa prema.

Hercol, che non temea per se de l’acque,
     Ma bramava per lei trovar soccorso,
     Poi che passarla al rio Centauro piacque,
     L’assise sopra il suo biforme dorso.
     Questo à la donna suo pensier dispiacque,
     Che del fiume temea l’horribil corso.
     Ne men del mostro rio temenza havea,
     Che sapea, che per lei d’amore ardea.

Ma come saggia non essendo certa,
     Ch’ei dovesse mancar de la sua fede,
     Non volle al suo consorte fare aperta
     La piaga, ch’al Centauro amor già diede.
     Per ischivar qualche battaglia incerta
     Su la sua groppa timida si siede.
     E prega, mentre passa, i sommi Dei,
     Che rendan salvi il suo marito, e lei.

Hercol con gran vigor la mazza, e l’arco
     Getta, e volar gli fa ne l’altra sponda;
     Poi del Leone, e del turcasso carco
     À nuoto va contra il furor de l’onda:
     Ne cerca dove è piu sicuro il varco,
     Ma dove di più giri il fiume abonda,
     E ad onta de la piena alta, e sonante,
     Ne la ripa di là ferma le piante.

Ripreso l’arco, e la superba trave,
     De la sua fida sposa ode la voce,
     E vede il mostro rio, ch’ in groppa l’have,
     Che via fugge con lei crudo, e veloce
     Tosto lo sguardo suo severo, e grave
     Diventa oscuro, horribile, e feroce.
     Lo strale incocca, e dietro al mostro infido
     Move l’offeso piè con questo grido.