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Stando ambo innanzi à le gran porte à piede
     De i gradi, ove stà un pian fra ’l tempio, e l’onde,
     La donna far del suo marito vede
     I canuti capei silvestra fronde,
     E mentre il guarda, e la cagion ne chiede,
     L’arbor ved’ei, che la sua donna asconde.
     E più, ch’un mira, e attende il fin, che n’esce,
     Più vede che la selva abonda, e cresce.

Vuol tosto questa, e quel mover le piante
     Per far l’officio altrui, che si conviene,
     E trova mentre pensa andare avante,
     Che l’ascosa radice il piè ritiene.
     Accorti del lor fin con voci sante
     Rendon gratie à le parti alte, e serene.
     L’un dice à l’altro, Vale, e non s’arresta
     Mentre il comporta lor la nova vesta.

Il Frigio habitator tal maraviglia
     Racconta anchor (s’un và da quelle bande)
     Che fu la donna pia conversa in Tiglia,
     E Filemon ne l’arbor de le ghiande.
     Et io, che già v’andai, con queste ciglia
     Veduti hò i sacri voti, e le ghirlande,
     Che ’l fido peregrin portar si sforza
     À gli Dei, che stan chiusi in quella scorza.

Mi fu da prudentissime persone
     Vecchie, e d’aspetto venerando, e grato,
     Che non soglion parlar senza ragione,
     Tutto questo miracol raccontato.
     Anch’io vi posi l’ultime corone,
     E dissi poi, che ’l mio prego hebbi dato.
     Poi ch’essi honor già diero al santo choro,
     Sia quello stesso honor dato anch’à loro.

La cosa in se, la grave età, l’aspetto
     Del saggio dicitor mosse ogni core.
     Ma più d’ogni altro à Teseo accese il petto,
     Ch’à gli Dei ne rendeo lode, et honore.
     Il fiume Calidonio, che ’l diletto
     Conobbe à pien de l’Attico Signore,
     Per farlo più stupir, ver lui s’affisse,
     E poi con dolce suon cosi gli disse.

Grande è il poter d’un Dio, quando trasforma
     Quei, c’ han l’ interna mente in tronchi, e in sassi,
     E fatto, ch’uno è tal, più non mov’orma,
     Anzi in eterno ò legno, ò scoglio stassi:
     Ma quando un fanno andar di forma in forma,
     E quel, che piace à lui, continuo fassi;
     Questa è forza maggior, che in un momento
     Un può cangiarsi in cento forme, e in cento.

Proteo è di quei, che far cio ponno, hoggi uno,
     Che suole indovinar gli altrui secreti,
     E guarda il grande armento di Nettuno,
     E già de l’Ocean nacque, e di Theti.
     Questi secondo à lui viene opportuno,
     Per torsi in tutto à gli huomini indiscreti,
     Hor si trasforma in un giovane acerbo,
     Et hora in un Leon fero, e superbo.

Quando la fama in ogni parte sparse,
     Che ’l saggio Proteo predicea il futuro;
     Da mille, e mille regni ogn’un comparse
     À dimandar di qualche dubbio oscuro.
     Ond’ei cercando come liberarse
     Da tanti, che v’andar, che troppi furo,
     Ottenne da le parti alte, e tranquille
     Poter cangiarsi in mille forme, e in mille.

Hor quando il rivelar non era honesto
     Qualche secreto in pregiudicio altrui,
     Ó quando troppo alcun gli era molesto,
     Per torlo in un momento à gli occhi sui,
     Facea l’aspetto suo grave, e modesto
     Parer crudele, e furioso à lui.
     Facendosi hor Cinghial crudo, e iracondo,
     Hora un dragon da far terrore al mondo.

Tal volta un par di corna al capo impetra,
     Che toro il fà parer fero, e robusto,
     Tal volta giace una insensibil pietra,
     Tal volta d’arbor sorge altero un fusto.
     Come poi si disarbora, ò si spetra,
     Se qualch’un’ altro è nel pregarlo ingiusto,
     Si fonde, e sparge in copioso fiume,
     Ó si risolve in fiamma accesa, e in lume.