Come fanno veder Giove co ’l figlio
A i vecchi il volto non veduto unquanco,
Fan riverenti le ginocchia e ’l ciglio,
E quasi al troppo ardor si vengon manco.
Poi seguendo di lor l’util consiglio,
Sollevan co ’l baston l’antico fianco,
Sforzandosi, ù lo Dio lor commess’have,
Portar l’afflitto corpo, e d’anni grave.
Lungi un tratto eran d’arco al sommo monte,
Quando i vecchi abbassaro i lumi indietro,
Cader sentendo un ruinoso fonte,
E d’alte strida un doloroso metro.
E de la patria lor l’altiera fronte
Veggon disfarsi in liquefatto vetro,
E l’alte torri lor di mura ignude
Formarsi in un momento una palude.
Mentre con gran stupor guardan le nove
Onde, ch’ascondon l’infelice terra,
E ’l misero occhio lor continuo piove,
Piangendo i suoi, che ’l lago inghiotte, e serra.
Sol la capanna lor veggon di Giove
Fuggito haver l’irreparabil guerra,
E che secondo al ciel s’inalza l’onda,
S’alza l’humil tugurio, e non s’affonda.
In mezzo al lago un’isoletta sorge,
Che la debil capanna alta sostiene,
E mentre questa, e quel l’occhio vi porge,
Vede, ch’in breve un’altra forma ottiene.
Farsi le forche sue colonne scorge
D’elettissimo marmo, e ’l tetto viene
Cupola di si grande, e bel lavoro,
Che par da lungi una montagna d’oro.
Le corna de le forche cangian foggia,
E fansi capitelli di gran pregio,
Le stanghe, ove la cupola s’appoggia,
Si fan cornice, et architrave, e fregio.
Dentro, e di fuor più d’una statua alloggia
Sacrate à Numi del divin collegio.
Vi sorge un ponte anchor d’un nobil sasso,
Che dona per passare al tempio il passo.
Il vecchio Filemon tutto tremante
Dando à la fida sua consorte essempio,
China il ginocchio, e le parole sante
Manda con fido core al novo tempio.
Allhor lo Dio, ch’à la cittade errante
Fece sentir de l’onde il crudo scempio,
Si volse à i due, c’havean si ardente il zelo,
E cosi aperse al suo concetto il velo.
Anime grate al ciel, se il nostro sdegno
Sommerse have à ragion l’empia cittate,
Voi, c’havete lo cor pietoso, e degno,
Che tutto è carità, tutta bontate;
Vogliam pria, che torniamo al santo regno,
Rimunerar di tanta alta pietate:
Però il vostro disio fatene aperto
Sicuri d’ottener l’amato merto.
Si consigliar l’anime elette alquanto,
Poi d’ambo Filemon scoperse i voti.
Fanne, Signor, del tempio altero, e santo,
Se ben ne siamo indegni, sacerdoti;
Fa, che custodi siam noi due di quanto
Rinchiudon questi sassi alti, e devoti.
E perche visso habbiam concordi gli anni,
Fa, ch’un’hora medesma il dì n’appanni.
Non far, ch’io veggia mai la pira accesa
De la mia dilettissima consorte.
Non soffrir, ch’ella à la mia tomba intesa
Pianga la mia prima venuta morte.
Poi che la lor preghiera hebbero intesa
Gli Dei, tornaro à la celeste corte,
Havendo fatto al lor prego devoto
Gratia, e favor de l’uno, e l’altro voto.
Mentre l’aura spirò dentro al lor petto
Custodi fur del tempio amato, e divo:
Ma dapoi, che quel tempo fu perfetto,
Che ’l corpo lor dovea mantener vivo,
De l’humano pensier, et intelletto
L’uno, e l’altro di lor rimase privo,
Nel modo, ch’io dirò, nel punto stesso,
Secondo da gli Dei fu lor promesso.