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In una stretta rete l’ insalata
     Il vecchio pon, che ’l fonte anchor bevea,
     La qual se ben minuta era tagliata,
     Non però de la maglia uscir potea.
     Come ve l’hebbe dentro avviluppata,
     Alzò la destra man, che ’l lin tenea,
     E non lasciò di raddoppiar le scosse,
     Che ’l bevuto liquor fuor non ne fosse.

Lascia indi in una conca ampia, e profonda
     L’herba cader, che da la rete suolve,
     Poi di Palla il liquor fa, che v’abonda
     Co’l mar ridotto in sasso, e dopo in polve.
     Con due coltelli poi fa, ch’ogni fronda
     Hà l’olio, e ’l sal, che vuol, tanto la volve.
     Vi sparge poi del trasformato vino,
     Che fortissimo havea sopra il camino.

Fatte lavare in un catin le mani
     À gli hosti accorti, à mensa ambi gli chiede,
     E con accenti in un rozzi, et humani
     Presenta lor la più honorata sede.
     E i lini dona lor men rozzi, et strani,
     Qual gli può dar lo stato, ch’ei possiede.
     Benche non si può dir, che in questo manchi,
     Che se son rozzi, e grossi, almen son bianchi.

Chiaman grati gli Dei la santa vecchia,
     Che voglia anch’ella homai gustar la cena,
     Grat’ella al grido lor porge l’orecchia,
     E la fronte senil lieta, e serena.
     Pur di privare innanzi s’apparecchia
     La pentola de cibi, ond’ella è piena:
     Ma fa quattro ova pria le seconde esche,
     Ch’erano in uno instante calde, e fresche.

Prende dell’herba anch’ella, e vuol gustarne,
     E mangia un poco, indi à servir s’ invia,
     E và per l’herbe cotte, e per la carne,
     S’asside al fin anch’ella in compagnia.
     In quanto al vin può sol del novo darne
     La non trovata altrove cortesia,
     Pur tutto quel, ch’è in casa, allegri danno
     Con quel modo miglior, che ponno, e sanno.

Porta il buon vecchio à la seconda mensa
     Co i frutti il latte condensato, e duro,
     L’oliva, il pomo, il pero, e ciò, che pensa
     Di trovar dentro al suo povero muro;
     E spoglia la sua rustica dispensa
     Di cio, che v’è più dolce, e più maturo.
     Giove per la pietà, che veduto have,
     Non trovò mai l’Ambrosia si soave.

Ma sopra ogni altro frutto più gradito
     Fu il volto allegro, e ’l non bugiardo amore.
     E benche fosse povero il convito,
     Non fu la volontà povera, e ’l core.
     Ma quel, che la consorte co’l marito
     Empiè di maraviglia, e di stupore,
     Fù il vin, ch’à ritornar più non vi s’hebbe,
     E più che se ne bevve, più ne crebbe.

Come veggon da se crescere il vino,
     Per l’alta novità timidi alquanto,
     Mandan co’l volto, e co’l ginocchio chino
     Subito preghi al regno eterno, e santo,
     Consiglian poi, ch’al culto alto, e divino
     Denno la forma alzar del carnal manto,
     E satisfar d’un sacrificio pio
     Al sempiterno, e glorioso Dio.

Facea custodia al lor povero tetto
     Un papero, che sol s’havean serbato,
     E pensar darlo al regno alto, et eletto,
     Non havendo holocausto più pregiato.
     Ma l’augel per lo lor picciol ricetto
     Fuggendo già da questo, e da quel lato,
     E presto, e snello per gli aerei vanni
     Stancava ambedue lor tardi per gli anni.

Al fin fuggì lo sbigottito augello,
     E in grembo al maggior Dio cercò salvarse.
     Ne volle ei, che rendesse il pio coltello
     Del sangue suo le pietre sante sparse;
     Ma preso il primo suo splendor più bello,
     E lasciata la forma, ond’huomo apparse,
     Si palesò co’l suo figliuolo, e disse,
     Che verso il monte ogn’un seco ne gisse.