Vestito, c’hebbe Altea del carnal manto
Quel figlio, c’hor gli ha fatto il doppio scorno,
Pregò le Dee con verso humile, e santo,
Che volgon de le vite il fuso intorno,
Che le dovesser far palese quanto
Il suo picciol figliuol godrebbe il giorno.
Venner le tre sorelle al prego giusto,
E poser su le fiamme un verde arbusto.
Volgendo il fuso poi l’avara palma
Disser. Tu, c’hoggi sei comparso al lume,
Sappi, che del tuo petto uscirà l’alma
Tosto, che ’l foco il ramo arda, e consume.
Tornar poi ne la patria eletta, et alma
Le Parche, e presta Altea lasciò le piume,
E con le mani inferme il tizzo strinse,
E poi d’acqua lo sparse, e ’l foco estinse.
E come accorta ascose il fatal legno
Per conservarlo in un secreto loco.
Non era in tutto il Calidonio regno
Parte, che men temer dovesse il foco.
Hor si s’aviva in lei l’ira, e lo sdegno,
Che vi può la pietà materna poco.
Trova l’ascoso muro, e fuor ne tira
Il ramo, e accender fa l’infame pira.
L’hasta al foco vuol dar, che l’alma chiude
Del figlio, ch’i fratei mandò sotterra,
Perche le membra sue di spirto ignude
Restino, e vengan poi cenere, e terra.
Tre volte con le man profane, e crude
Per gittarlo nel foco il ramo afferra,
E tre volte le vieta opra si indegna
Qualche poco d’amor, ch’anchor vi regna.
Albergano la madre, e la sorella
Due diverse persone in un soggetto,
E movono in un core hor questa, hor quella
Quando il più pio, quando il più crudo affetto.
Et hor la voglia santa, hor la rubella
Cerca di dominare il dubbio petto.
Il core hor l’homicidio approva, hor vieta,
Secondo vince in lui l’ira, ò la pieta,
Spesso il timor del suo futuro errore
Le fa di neve diventar la fronte,
La pingon poi di sangue, e di furore
L’incrudelito cor, gli sdegni, e l’onte.
Se ’l pianto secco vien dal troppo ardore,
Sorger si vede poi novella fonte.
Le pinge il viso hor l’odio, hora il cordoglio,
Questo d’affetto pio, quello d’orgoglio.
Come talhor se la corrente, e ’l vento
Fan tra lor guerra à l’agitata nave,
Pria cede il legno à l’onda, e in un momento
S’arrende à la procella, ch’è più grave:
E in breve tempo cento volte, e cento
Hor l’onda, hor l’aura in suo dominio l’have:
Tal de l’afflitta Altea l’ambiguo ingegno
Hor vinta è da la pieta, hor da lo sdegno.
Al fin la voglia più malvagia, e ria
Con più vigor le domina la mente,
Et empia vien per voler esser pia,
E placar de fratei le membra spente.
Già l’affetto materno in tutto oblia,
Et è miglior sorella, che parente.
Hor come vede il foco andare al cielo,
Cosi à la mente sua discopre il velo.
Poi, ch’arsi i miei fratei da questo foco
Saranno, e ch’io vedrò cenere farne,
S’io posso il reo por nel medesmo loco,
Non debbo già senza vendetta andarne.
Dunque fia ben, se per placargli un poco,
Fò parte al rogo lor di quella carne,
Che quello spirto rio nasconde, e chiude,
C’hebbe contra di lor le man si crude.
E con quel, c’havea in man celeste ramo,
Si volse à funerali altari, e disse.
Voi tre Dee de le pene eterne chiamo,
C’havete da punir le nostre risse,
Mentre l’inique essequie spedir bramo,
Tenete alquanto in me le luci fisse,
E date à la mia mano ardire, e forza,
Che doni à i fochi rei la fatal scorza.