Poi c’han la selva cinta d’ogni intorno
Gli uniti cacciatori arditi, e accorti;
Altri ripon fra l’uno, e l’altro corno
De la bicorne forca i lini attorti.
Altri cerca co i can, dove soggiorno
Facciano i denti ingiuriosi, e forti.
Altri cerca al suo honore altro consiglio,
E brama di trovare il suo periglio.
Segue Echion con molti altri la traccia
De’ bracchi, che n’han già l’odor sentito,
E fra i più folti spin si spinge, e caccia,
Tanto che giunge al paludoso lito.
Et ecco geme un can, latra, e minaccia,
Poi da molti altri è il suo gemer seguito,
Tanto che ’l gran baiar lor fede acquista,
Che l’empia belva han già trovata, e vista.
Tosto, che i cani ingiuriosi, e fidi
Indicio dan de la trovata belva,
Si senton mille corni, e mille stridi
In un tratto assordar tutta la selva.
Da tutti i lati à paludosi lidi
Si corre, e verso il verre ogn’un s’inselva.
E già di can si grosso stuolo è giunto,
Che d’ogni lato è minacciato, e punto.
Come ei vede de cani il crudo assedio,
E tante d’ogni intorno armate mani,
E sente i gridi, i corni, i morsi, e ’l tedio
Di tanti, ch’intorno ha, feroci alani;
Ricorre à l’ira, e al solito rimedio,
E altero investe huomini, et arme, e cani:
Et empio, e fello trasportar si lassa
Contra ogn’un, che ver lui lo spiedo abbassa.
Corre à l’irreparabile vendetta
Con tal furor lo spaventoso mostro,
Che sembra il foco, il tuono, e la saetta,
Che corra in un balen l’ethereo chiostro;
Quando à cacciare i nuvoli s’affretta
Da un lato l’Aquilon, da l’altro l’Ostro,
Esce de nembi il foco, e fiere, e stride:
Cosi vola il Cinghial, freme, et uccide.
Crucciato hor quinci, hor quindi adopra il dente
Nel cane, e ne l’acciar lucido, e bianco.
Ferito un veltro là gemer si sente,
E va leccando l’impiagato fianco.
Quel mastin tutto aperto fa un torrente
Di sangue, e giace, e geme, e viensi manco,
Si vede l’huom, che l’assaltò co ’l ferro,
Ferito, e l’acciar torto, e rotto il cerro.
Mentre correndo il porco i cani atterra,
E ’l bosco risonar fa d’alte strida,
Trassi Echion da parte, e ’l dardo afferra,
E ’l manda in aria, acciò che ’l mostro uccida.
Ma troppo in alto l’hasta da se sferra,
E passa sopra il perfido homicida;
D’acero dopo incontra un grosso piede,
E ’n vece del nemico un tronco fiede.
L’istesso avenne al guerrir di Tessaglia,
A quel, ch’al mar mostrò la prima nave:
Dal forte braccio impetuoso scaglia
Un dardo più mortifero, e più grave:
Forniva con quel colpo la battaglia
Se più basso feria l’acuta trave.
Passò di là dal porco empio, e selvaggio,
Insino à le medolle un grosso faggio.
Mopso figliuol d’Ampico, e Sacerdote
D’Apollo, al ciel la voce alza, e l’aspetto.
Febo, se l’hostie mie sante, e devote
Commosser unqua il tuo pietoso affetto,
Concedi à queste mie supplici note,
Ch’io primo impiaghi à l’inimico il petto.
Dar cerca al prego effetto il chiaro Nume,
Ma v’è chi tronca al suo desir le piume.
Come ha incoccato il Sacerdote il dardo,
E c’ha ben presa al suo ferir la mira,
Quanto può stende il braccio men gagliardo,
E più che può, co ’l destro il nervo tira.
Lo stral del divin folgore men tardo
Volando freme, e à la sua gloria aspira.
Ma tolse nel valor la Dea di Delo
L’acuto ferro à l’innocente telo.