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Il darsi Teseo à dure imprese spesso,
     La fama, che per tutto i vanni stese,
     Oprò, che ’l Re di Calidonia oppresso
     Da un grave danno in suo soccorso il chiese.
     Hor come giunse il Calidonio messo,
     E ’l forte Teseo il lor bisogno intese,
     Tutta havendo à l’ honor la mente accesa,
     Lieto s’accinse à la proposta impresa.

Guasta, e distrugge il Calidonio campo
     Un troppo crudo, un troppo horribil mostro,
     Incontra al cui furor non trova scampo
     Ne ingegno human, ne fero artiglio, ò rostro.
     Armar già i Calidonij più d’un campo
     Per fargli l’alma uscir del carnal chiostro,
     E sempre rotti fur dal dente fello,
     Che di Diana fu sferza, e flagello.

Eneo, che quivi havea lo scettro in mano,
     In troppo grande error lasciò caderse.
     Diede à gli Dei le lor primitie, e ’l grano
     À la Trinacria Dea nel tempio offerse.
     Fè, c’hebbe il primo vin lo Dio Thebano,
     E subito, ch’ in olio si converse
     La prima oliva, andò con pompa, e fede,
     Et al Palladio altar l’offerse, e diede.

L’ambitioso honor corse, e pervenne
     Di tempo in tempo à i lumi alti del cielo,
     Et ogni Dio ne la memoria tenne
     Del devoto cultor l’amore, e ’l zelo.
     Gl’incensi, e fochi pij sol non ottenne
     L’altar de l’alma Dea, che nacque in Delo.
     Sdegnata ella contra Eneo i lumi fisse,
     (Che l’ ira anchor gli Dei perturba) e disse.

Benche sola io non honorata vada,
     Non però andar non vendicata voglio;
     Ma ben, che la tua ingrata empia contrada
     Provi il furor del mio sdegnato orgoglio
     E in vece de la sua vendetta, e spada
     Mandò per general danno, e cordoglio,
     Un Cinghial cosi fier, di tal possanza,
     Che di gran lunga ogni credenza avanza.

L’herbosa Epiro, ò altro humido loco
     Toro non vide mai di tanta altezza.
     Sfavilla il guardo altier di sangue, e foco,
     La dura aspra cervice ogni arme sprezza.
     La spuma con grugnir superbo, e roco
     Fà il dente, ch’ogni acciar più duro spezza:
     Che non invidia a l’Indico Elefante,
     Che di durezza vince ogni diamante.

Sembran le sete una battaglia stretta,
     Quando han le squadre al ciel l’arbore alzato.
     Spira la bocca il foco, e la saetta,
     E i frutti, e gli animai strugge co’l fiato.
     Contra Cerere irato il corso affretta,
     E le toglie la spiga, e ’l seme amato.
     E ’l granaio, che vacuo si ritrova,
     Digiuno aspetta in van la messe nova.

Il superbo Cinghial corre per tutto
     Di Calidonia il miserabil regno,
     E togliendo à Lieo maturo il frutto,
     Priva i mortai del lor liquor più degno.
     Volge come ha Lieo rotto, e distrutto
     Contra l’Attica Dea l’ira, e lo sdegno,
     E fà, che nega il censo à la sua Diva,
     Che maturò per lei la grata oliva.

Cerere, e Bacco, e Palla abbatte, e sforza,
     E distrugge, e disfà con ugual legge;
     Poi senza l’alma fa restar la scorza
     De le non forti, e fruttuose gregge.
     Ne mastin, ne pastor, ne darte, ò forza
     A tanto horrore, à tanta furia regge.
     Ne gl’indomiti tori, e d’ ira ardenti
     Difender ponno i più superbi armenti.

Al popol non val più forza, ò consiglio,
     Ma corre, dove il caccia la paura,
     Ne la forte città fugge il periglio,
     Ne sicuro si tien dentro à le mura.
     Pur d’ Eneo al fine il coraggioso figlio
     Di torre il mostro al dì si prese cura.
     E l’Achea gioventù ragunar feo,
     Fra quai l’ambasciator chiamò Teseo.