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ottavo. 136

Gli apre, come potrà nel dubbio speco
     Far la fera crudel rimaner morta.
     Poi dagli avolto un fil, che ’l porti seco,
     E che l’attacchi al legno de la porta,
     E che mentre và dentro al carcer cieco
     Lo svolga per la via fallace, e torta:
     E che fatto à quel bue l’ultimo incarco,
     S’avolge il fil, sarà renduto al varco.

Secondo che la vergine l’informa,
     S’arma Teseo, ch’entrarvi ama primiero,
     Et assicura la dannata torma,
     Che vivo non vedranno il mostro altero.
     Dove stà l’huom, che doppia have la forma,
     Se n’entra il valoroso cavaliero,
     E lega, e svolge il lin nel cieco chiostro,
     Fin che giunge, ove stà l’horribil mostro.

Con l’arme, e co ’l parer de la donzella
     Và contra il crudel toro il guerrier forte,
     E in modo il punge, lacera, e flagella,
     Ch’in breve il dona à la tartarea corte.
     Poi dove il fil, ch’accumula, il rappella,
     Dopo vario camin trova le porte.
     Al Re co ’l capo in man del mostro riede,
     E di tornarsi à la sua patria chiede.

Non spiace al Re, ne de la fè vien manco,
     Che sia l’infame bue di vita privo,
     Che gli parea, che ’l suo deforme fianco
     Vivendo il suo disnor tenesse vivo.
     Vuol, ch’ogni Greco sia libero, e franco,
     E che possa tornare al lito Achivo.
     Teseo raccoglie, e seco à mensa il tiene,
     E del mesto tributo assolve Athene.

Dal Re, mangiato c’ha, licentia prende
     Tutto à la preda sua pregiata intento,
     Che di partirsi in ogni modo intende
     La notte istessa, se ’l comporta il vento.
     Ma pria in disparte la vergine accende
     A fuggir, come vede il giorno spento,
     Et à menar la sua sorella seco
     Per l’effetto, che sà, su ’l legno Greco.

Come vede Arianna il giorno morto
     Con la sorella sua, che dispost’have,
     Lascia la terra, e ’l padre, e corre al porto,
     E monta ascosamente in su la nave.
     Subito, ch’esser vede il Greco accorto
     Di cosi ricca merce il legno grave,
     Snoda le vele al vento, e fugge via,
     E prende terra à l’isola di Dia.

Fà tosto un padiglion tender su ’l lito,
     Che fin, ch’apporti il giorno il novo lume,
     Con l’incauta fanciulla il Greco infido
     Si vuol goder l’insidiose piume.
     Ella, che ’l suo amor crede un vero nido
     D’ogni gentil, d’ogni real costume,
     Al suo finto parlar prestando fede,
     A l’empie braccia sue si donna, e crede.

Teseo, che tutto havea rivolto il core
     A l’altra assai più giovane sorella,
     La qual quel crudo, e traditor d’Amore
     Fece parere à gli occhi suoi più bella,
     Tolto c’hebbe à la vergine quel fiore,
     Che la fè fin allhor nomar donzella,
     E nel sonno sepolta esser la vide,
     Lasciò con muto piè le tende infide.

Tacitamente al legno si trasporta,
     E fa spiegar l’insidioso lino.
     Il vento gonfia à lui propitio, e porta
     Ver la prudente Athene il crudo pino.
     Piange l’altra donzella, ei la conforta,
     E non si scopre il raggio matutino,
     Che la dispone à tutte le sue voglie,
     E secondo il desio la fa sua moglie.

Già la stellata Dea, che ’l giorno asconde,
     Splender vedea le sue tenebre alquanto:
     E già l’Aurora, e le sue chiome bionde
     A l’herbe, e à fior fean ruggiadoso il manto:
     E volando gli augei fra fronde, e fronde
     Facean del novo albor festa co ’l canto:
     Ogni mortal dal placido soggiorno,
     Chiamato à le fatiche era del giorno: