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LIBRO OTTAVO

G
ià fiameggiava l’amorosa stella,

     E la vaga fanciulla di Titone
     Si mostrava à mortai lucente, e bella;
     Et Eolo aperta havea l’atra prigione
     Al vento opposto à l’artica facella,
     Che gelosa nel ciel suol far Giunone,
     Quando si tolse Cefalo à le sponde;
     E fidò i lini à vento, i legni à l’onde.

Havendo humile il mar, propitio il vento
     Solca con tal prestezza la marina,
     Che discoperto il lito in un momento
     Al desiato porto si avicina.
     E fa l’Attico Re restar contento
     Del soccorso de l’ isola d’ Egina.
     Fa ’l popol tutto honor con lieto grido
     À quei, che per lor ben scendon su’l lido.

Cefalo à pena ha preso il novo porto,
     Che ’l veditor, che da la rocca scorge,
     Fà con più segni il Re co’l volgo accorto,
     Che nova armata à gli occhi suoi si porge.
     E fa ’l popol venir pallido, e smorto,
     Che la classe nemica esser s’accorge.
     Già tutti i merli e tutti i torrioni
     Son pieni di bandiere, e di pennoni.

Si scopron tuttavia novelle antenne
     Dal veditor de le più alte mura,
     Et ei pon nove frasche, e nove penne,
     E rende à la città maggior paura.
     Teseo, ch’al patrio sen pur dianzi venne,
     Come comanda il Re, si prende cura
     Del governo de l’arme, e ’n ogni parte
     Cerca dispor le genti al fiero Marte.

Non molto andò, che con un’ altro segno
     Quel, che stà ne la rocca più eminente,
     Fà noto al Re, ch’ogni scoperto legno
     Si comincia à piegar verso occidente.
     Minos pensò nel Megarense regno
     Assicurar l’armata, e la sua gente.
     E ’n quella parte dismontare in terra,
     La qual credea acquistar con minor guerra.