Tendiam le reti, e compartiam le lasse,
D’occupar passi ogn’un si studia, e sforza,
Perche del mostro altier priva si lasse
De l’alma ria la mostruosa scorza.
In tanto i bracchi con le teste basse
Cercan del fiuto lor mostrar la forza,
Già scoperta è la fera, e si risente,
E contra i cani ingordi adopra il dente.
Come il fero animal mostra la fronte,
E questo, e quel mastino affronta, e fiede,
Chi corre per lo pian, chi scende il monte,
Altri à cavallo, altri co’l proprio piede.
E và per vendicar gli oltraggi, e l’onte
Contra l’auttor de le dannose prede.
Altri gli lascia il veltro, altri l’assale
Ó co’l dardo, ò con l’hasta, ò con lo strale.
Stà il mostro altier talmente in su l’aviso,
Et è si presto, si veloce, e snello,
Che non si lascia mai corre improviso,
Ma s’aventa, e ferisce hor questo, hor quello.
Rende à questo, e quell’huom sanguigno il viso,
Rende à questo, e quel can sanguigno il vello.
E cosi bene assalta, e si difende,
Ch’egli percote ogn’un, ne alcun l’offende.
Quando tanto abondar vede la folta,
E d’esser d’ogni aiuto ignuda, e sola,
La fatal volpe in fuga il piede volta,
E ’n pochi salti à tutti i can s’invola.
Il cane, e l’huom si drizza à la sua volta,
E chi fa udire il suon, chi la parola.
E à quei, ch’i passi guardan d’ogni intorno,
Dan segno altri co’l grido, altri co’l corno.
Dopo molto fuggir, l’iniqua, e fella
Belva verso quel luogo affretta il passo,
Dove co’l can, che Lelapo s’appella,
E co’l dardo fatale io guardo il passo.
Il can con flebil suon s’ange, e flagella,
E si prova, e si duol ch’andar no’l lasso.
Io stò à mirar la fuga, e ’l mostro intento,
E come veggio il tempo, il cane allento.
Hor qual sarà de due più presto, e forte?
Qual de due l’impresa havrà la palma?
L’uno, e l’altro dal fato havea la sorte,
L’uno, e l’altro ha fatal la spoglia, e l’alma.
Questo per dar, quel per fuggir la morte
Affretta più, che può, la carnal salma.
E saltan con fatal prestezza, e possa
Ogni rete, ogni macchia, et ogni fossa.
In mezzo al campo un picciol colle siede
D’arbori, e d’ogni impaccio ignudo, e netto,
Io pongo in fretta in su la cima il piede,
E del corso de due prendo diletto.
La belva hor gira, hor s’allontana, hor riede,
Perche il cane à trascorrer sia costretto:
E spesso, in quel, che’l mostro il camin varia,
Prenderlo il can se ’l crede, e morde l’aria.
Ecco, che già da presso io gli riguardo,
Dopo più d’una corsa, e più d’un giro,
Io tosto al laccio accomodo del dardo
La mano, e prendo ogni vantaggio, e tiro.
Hor mentre và lo stral presto, e gagliardo,
Farsi la volpe, e ’l can di marmo miro.
Par, che ’l can segua, e d’abboccar si strugga,
E ch’ella à più poter si stenda, e fugga.
Era fatal il mostro, e ’l veltro, ch’io
Lasciai, la sua virtù dal fato tolse,
E, perche anchor fatal fù il dardo mio,
Far vincitore il fato alcun non volse,
Ma ’l cane, e ’l mostro periglioso, e rio
In mezzo al corso in duri sassi volse:
E sol salvò dal rio marmoreo sdegno
Con la stessa virtù l’acciaio, e ’l legno.
Se bene il rimirar mi spiacque assai
Si nobil cane un sasso alpestre, e duro,
Sentij sommo piacer, quando trovai
Esser dal marmo il mio dardo sicuro.
Misero me, di quello io m’allegrai,
Che il mio bel tempo fece ombroso, e scuro.
Ó me beato, se rendean que’ marmi
Co’l mio misero can pietra quell’armi.