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Ne la mente più sana un desir folle
     Mi cade di di tentar la mia consorte,
     S’ella à preghi d’altrui si rende molle
     Con ricchissimi doni d’ogni sorte.
     Hor mentre al modo io penso, al vel si tolle
     L’Aurora, et al mio lume apre le porte,
     E discoperto à me di novo il volto,
     Con questo suon fà il mio pensier più stolto.

Se ben de l’amor tuo crudel non godo,
     E sei ver me tropp’aspro, e troppo altero,
     Non però vò mancar di darti il modo,
     Che dar può effetto al tuo novo pensiero:
     Perche provi, se Procri osserva il nodo
     D’Himeneo, vò cangiarti il volto vero.
     Et ecco il viso, l’habito, e ’l costume
     Mi cangia, e pon lo specchio innanzi al lume.

Trovo cangiato il volto, ma non l’anno,
     Vago d’un bel color vermiglio, e bianco.
     Ella si veste l’ invisibil panno,
     Ma non resta però d’essermi al fianco.
     Mentre io mi guardo, e penso al novo inganno,
     Veggio sotto il mantel dal lato manco
     Pendermi un picciol zaino: io gli apro il seno,
     E di scatole, e gioie il trovo pieno.

Sicuro di non esser conosciuto
     À l’Attica città drizzò le piante,
     E fo dar fuore il nome, ch’è venuto
     Un, c’ ha portate gioie di Levante.
     Come al palazzo regio fu saputo,
     Fui fatto à la Reina andare avante.
     Bench’à lei, à le figlie, e à le donzelle
     Non fei mostra però de le più belle.

Da la corte paterna io trovo lunge
     La moglie mia, che si lamenta, e piange
     Nel mio vedovo albergo, e ’l cor le pugne
     Gelosia de la Dea, che l’ombre frange.
     E come un peregrino al porto giunge,
     Che sappia de le parti esser del Gange,
     L’accoglie con cortese, e honesto invito,
     E nova chiede à lui del suo marito.

Hor come sà, ch’ un gioiellier novello
     È giunto d’Oriente à liti Achei,
     Mi fa chiamare entro al mio proprio hostello
     Con casta cortesia da servi miei.
     E con un volto addolorato, e bello
     Mentre vede i bei sassi Nabatei
     Con un’ accorto aviso modo trova,
     Che diede à me di me medesmo nova.

Il dolce sguardo, il modo, e la parola,
     Era tutto prudentia, e castitate.
     Ne creder, che fidar volesse sola
     À l’età mia la sua più bella etate;
     Seco havea quivi una superba schola
     Di serve d’una nobil qualitate.
     Hor rispondendo à quel, ch’ella mi chiede,
     Cosi fo di me stesso io stesso fede.

Quel gentil cavalier, di cui dimande,
     Se mi rimembra, ben giamai non vidi:
     Questo è ben ver, che ne le nostre bande
     S’odon del caso suo famosi gridi.
     La Dea, che ’l primo albor nel mondo spande,
     Ragionan, che ’l rapì ne’ vostri lidi.
     E par, che di beltà ciascuno il lode,
     E che piace à l’Aurora, e che se ’l gode.

Se ben lo stesso havea sentito altronde,
     Che ’l mondo quei, che ’l vider, n’havean pieno,
     Come ode, che ’l mio dire al ver risponde,
     Tutto irriga di pianto il volto, e ’l seno.
     Come io veggio in tal copia abondar l’onde;
     Posso à pena tenere il pianto in freno,
     Tal io conobbi in lei ver me l’affetto,
     Tanta per lei pietà mi prese il petto.

Ben che la luce lagrimosa, e trista
     Mostrasse il volto afflitto, e sconsolato,
     Non havea il mondo più gioconda vista
     Del suo pietoso viso addolorato.
     L’amorosa pietà co’l dolor mista
     Rendean l’aspetto suo si vago, e grato,
     Che mentre fortunata hebbe la stella,
     Non sò, s’io la vedessi mai si bella.