Dal giorno de le nozze il Re di Delo
Trenta volte dal Gange uscì sotterra,
Et altrettante à la sua luce il velo
Co’l corpo oscuro suo pose la terra,
Quando donando il primo albore al cielo
L’Aurora diè principio à la mia guerra,
Che vide à caso me ne’ colli Himeti
A diversi animai tender le reti.
Come nel volto mio le luci intende
Colei, ch’alluma l’aere oscuro, e cieco,
D’amoroso desio di me s’accende,
E mi rapisce à forza, e mena seco.
Indi à l’albergo suo mesto mi rende,
E vuol de l’amor mio godersi meco,
Et io (se lece in questo à dire il vero)
Mi mostro acerbo al suo dolce pensiero.
Con pace de la Dea bella sia detto,
Se ben di gigli, e rose ha il volto adorno,
Se ben quel lume ha il suo divino aspetto,
Ch’in ciel si mostra à l’apparir del giorno,
Contrasto à l’amoroso suo diletto,
E fuggo il suo dolcissimo soggiorno:
Che volto solo à Procri era il mio amore,
E Procri in bocca havea, Procri nel core.
Mentre con le più candide parole,
E co’l più dolce affettuoso modo
Me nominando il suo bene, e ’l suo Sole
Mi vuol legar co’l più soave nodo:
Rispondo, che ’l mio debito non vuole,
Ch’al coniugal’amor, ch’in terra godo,
Che d’un più forte laccio il cor m’ha attorto,
Per compiacere à lei faccia quel torto.
Poi che la Dea tentò più giorni in vano
Per varie vie d’indurmi à le sue voglie,
Et io non volli mai rendermi humano,
Per non far torto à la mia casta moglie:
Distese con furor l’irata mano,
Et afferrò le mie terrene spoglie,
Et renduto, che m’hebbe al Greco lido,
Mi fe tutto attristar con questo grido.
Habbiti la tua Procri, e spregia ingrato
Chi t’ama, e torna à tuoi propinqui guai,
Che, se non mente al mio giudicio il fato,
Non la vorresti haver veduta mai.
Poi che m’hebbe la Dea cosi parlato,
Invisibil seguimmi ovunque andai,
E solo allhor visibil mi si rese,
Che ’l mio geloso cor le fei palese.
La Dea, ch’è prima à illuminare il cielo,
E che senza partir da me disparse,
Co’l suo verso fatal di tanto gielo
L’infiammato mio core offese, e sparse,
Che per timor del cor l’ardente zelo
Si strinse, e chiuse, e più mi nocque, e m’arse
Tanto, che ’l foco, e ’l giel fe dubbia l’alma,
Chi havesse di lor due nel cor la palma.
Quella stessa beltà, che ’l cor m’accende,
Di gelata paura anchor l’agghiaccia,
E fa temer, che ’l bel, ch’in lei risplende,
Anche altrui, come à me, diletti, e piaccia:
E di maggior timor costretto il rende
Il parlar de la Dea, che l’ombre scaccia,
Che dice, c’havrò l’alma amara, e trista
Per haver la mia Procri amata, e vista.
Pur se mi dava il suo splender sospetto,
Che non prendesse il cor di mille amanti,
E che non desse à l’adulterio effetto,
Trovando al gusto suo qualchun fra tanti;
Per lei faceano fede al dubbio petto
I bei costumi suoi pudichi, e santi.
Ne volean, che facesse il suo cor saggio
Al suo sposo, al suo honor si infame oltraggio.
Pur quello essere stato in Oriente
Rapito da chi ’l mondo imperla, e dora,
Innanzi agli occhi mi ponea sovente
Il minacciato danno da l’Aurora.
Tanto, che dal timor vinta la mente
In tutto uscì de l’intelletto fuora,
E venir femmi à le dannose prove,
Che fan, che l’occhio mio perpetuo piove.