In mezzo và, come Signor sovrano,
Di Clito, e Buti figli di Pallante,
E d’oliva un bel ramo havendo in mano
Tosto, ch’egli si vede al Re davante,
China il ginocchio, e ’l ciglio tutto humano,
E d’amore, e pietà sparso il sembiante,
Con un parlar humil, facondo, e grato
Scopre il desio de l’Attico Senato.
Se per le tue maravigliose prove
Si gloria il Re del ciel d’esser tuo padre:
Non men di quel, che se n’allegra Giove,
S’allegra, e gloria Achea d’esser tua madre.
Hor se l’amor di lei punto ti move,
Ti fà saper, che le Cretensi squadre
Han collegata già la terra tutta,
Perche la patria tua resti distrutta.
Hor, perche spera, che sarai quel figlio,
Ch’esser si dè ver la sua madre pio,
A te mi manda l’Attico consiglio,
Per che tu sappi il Cretico desio.
E ti prega, che mandi il tuo naviglio
Armato in compagnia del legno mio,
E salvar cerchi la materna terra
Da l’odiosa, e minacciata guerra.
Volea con dir più lungo, e più facondo
Cefalo porgli in gratia il patrio loco,
Ma il Re, che di natura era iracondo,
Che fu concetto di fiamma, e di foco,
Vò (disse) contra Creta, e tutto il mondo
Dar le mie genti al bellicoso gioco,
E contra ogn’un, che s’appresenta, e viene
Per fare oltraggio à la mia patria Athene.
Voi non havete aiuto à dimandarme,
Ma à prender ben da voi quel, che vi pare,
Legni, munitioni, huomini, et arme,
E tutto quel, che ’l mio regno può dare.
Ne potevate in tempo alcun trovarme,
Che meglio vi potessi accomodare.
Che come piacque à la celeste corte,
Non hebbi mai più gente, ne si forte.
L’ambasciador de la Palladia parte
Renduto c’hebbe gratie al Re cortese,
Cosi augumenti il ciel sempre il tuo Marte,
(Disse) e porga ogni aiuto à le tue imprese,
Come poi, che lasciai l’onde, e le sarte,
Tutto quel, che dett’hai, vidi palese.
Ch’una tal gioventù mi venne incontro,
Ch’io non vidi giamai più bello scontro.
È ver, ch’un’altra volta, ch’io vi venni,
Da molti fui ben visto, e ben raccolto,
Et in memoria poi sempre gli tenni,
E v’ho scolpita anchor l’effigie, e ’l volto.
Hor quando il lito tuo bramato ottenni,
Hor à questo, hor à quello il lume ho volto,
E n’ho guardati mille ad uno ad uno,
Ne’ de gli amici miei ritrovo alcuno.
Il Re, c’havea ben’in memoria gli anni,
Ne’ quai vi venne Cefalo, e partisse,
Si ricordò de suoi mortali affanni,
E diede à l’aere un gran sospiro, e disse.
Vò rimembrare i miei passati danni,
Perche possi saper quel, ch’avenisse
Di quegli amici, ond’hai cercato tanto,
Non senza d’ambedue dolore, e pianto.
Ma se sarà il principio amaro, e tristo,
Sarà tanto più il fin lieto, e giocondo,
Che talmente dal ciel fu al mal provisto,
Ch’accrebbe al mio baston l’honore, e’l pondo.
Tosto, che ’l Re del ciel fè di me acquisto,
E che la madre mia mi diede al mondo,
Fù sempre la gelosa mia matrigna
Ver la mia madre Egina empia, e maligna.
E, perch’à starsi in quest’isola venne,
Che d’Enopia da lei fu detta Egina,
L’odio, che Giuno ogn’hor ver lei ritenne,
Sfogò sopra quest’isola meschina.
Dove il tuo amico, come à gli altri avenne,
Fù condannato à l’ultima ruina
Da un’atra peste si maligna, e cruda,
Ch’ogni anima restò del corpo ignuda.