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Ma i Barbari sapendo quanto importe
     L’argento, e l’or con gli aversarij loro,
     Quel luogo hebber da lei sicuro, e forte
     Per forza di promesse, e di thesoro.
     Cosi aprì lor la vergine le porte
     Via più, che de l’honor, vaga de l’oro.
     E fu cagion, che ’l padre disperato
     Perdè poco dapoi l’alma, e lo stato.

È ver, che pria, che ’l Re perdesse il lume,
     Qualche pena cader ne vide in lei,
     Che fu dal capo à i piè con nere piume
     Vestita dal giudicio de gli Dei.
     Ma non perdè l’antico suo costume
     Ne i vitij de la patria avari, e rei.
     Ch’ anch’ hoggi invola in questa forma nova
     Medaglie, anella, e tutto l’or, che trova.

Chi Putta, e chi Monedula l’appella,
     Et è alquanto minor de la Cornacchia;
     E l’humana imitar cerca favella,
     E rispondendo altrui cinguetta, e gracchia.
     Et ogni cosa d’or lucida, e bella
     Prende nel becco, e poi vola, e s’immacchia.
     Si che non chieder gente in tuo favore,
     Ch’è più vaga de l’or, che de l’honore.

Con la favella il Re saggio, e co’l ciglio
     Approvò ciò, che ’l cavalier gli disse,
     E dando affetto al suo fedel consiglio,
     Volle, ch’altrove à questo officio gisse.
     Ne volle il campo suo porre in periglio,
     Ch’ infido, e avaro barbaro il tradisse.
     Ben che fu tanto il popol, che s’offerse,
     Che quasi la sua armata il mar coperse.

E Cinno, e Sciro, e l’ isola Anafea
     Si collega con Creta, e in Creta sorge;
     E con Micon, Cimolo, e Astipalea
     Paro, che ’l più bel marmo al mondo porge.
     La nave, il galeone, e la galea
     Solcar per tutto il mar Greco si scorge.
     E tutto il mondo si collega, e viene,
     Altri in favor di Creta, altri d’Athene.

Che Didima, et Oliaro, et Andro, e Tino
     Non vollero con Creta collegarsi,
     Anzi in favor de l’Attico domino
     Per honesta cagion vollero armarsi.
     Ma quel, che regge il popol formicino,
     Quasi la guerra addosso hebbe à tirarsi,
     Per la risposta, e per la poca pieta,
     C’hebbe al morto figliuol del Re di Creta.

Non sol non vò contra il mio patrio regno
     (Disse) porger favore al Re Ditteo,
     Ma voglio haver capital’ odio, e sdegno
     Contra ciascun, c’havrà nemico Egeo:
     E se per questo mar vorrà il suo legno
     Passar come nemico al lito Acheo,
     Con quanto i legni miei nel mar potranno,
     Farò à l’armata sua vergogna, e danno.

Chi havrà rispetto à l’amicitia, e al sangue,
     Non troverà questa risposta strana;
     Ma quel, che per Androgeo irato langue,
     La trovò molto barbara, e villana:
     Pur vuol pria vendicar la prole essangue,
     E poi gir contra l’ isola inhumana,
     Che la pietà del suo figliuol lo sforza
     À provar prima altrove la sua forza.

À pena havea l’ambasciatore Egina
     Lasciato, e volta al suo Signor la vela,
     Ch’una Galea la cognita marina
     Solcando vien con la gonfiata tela,
     E quanto più si mostra, e s’avicina,
     Tanto più l’altra s’allontana, e cela.
     Quest’era Attica vela, e anch’ella il corso
     V’havea rivolto à dimandar soccorso.

Cefalo figlio d’ Eolo era venuto
     D’Athene al Re d’Egina à questo effetto;
     E se bene homai vecchio era, e canuto
     Havea anchor bello il già si bello aspetto.
     Ei da’ figli del Re fu conosciuto,
     Et abbracciato con amico affetto,
     Et fattogli ogni festa, ogni accoglienza
     L’appresentaro à la real presenza.