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Quand’ Hercole passar volle à l’inferno
     Per torre à Pluto l’anima d’Alceste,
     Dapoi c’hebbe varcato il lago Averno
     Per gire ù piangon l’anime funeste,
     Perc’hebbe il suo valor Cerbero à scherno,
     Quel mostro, ch’ ivi abbaia con tre teste,
     Per forza incatenollo Hercole, e prese,
     E strascinollo al nostro almo paese.

Mentre quel mostro egli strascina, e tira
     Per lo mondo à cui splende il maggior lampo,
     E ’l can vuol pur resistere, e s’adira,
     E per tre gole abbaia, e cerca scampo,
     La bava, che gli fa lo sdegno, e l’ ira,
     Del suo crudo veneno empie ogni campo.
     Di quella spuma poi l’herba empia, e fella
     Nacque, c’hoggi Aconito il mondo appella.

Mesce questo venen, c’havea nascosto
     Con un liquor di Bacco almo, e divino,
     E ad un ministro il suo volere imposto
     Mostra la morte al Re del peregrino.
     Poi che fu Egeo con gli altri à mensa posto,
     E c’hebbe in man Teseo la coppa, e ’l vino,
     Gli occhi à lo stocco il Re di Teseo porge,
     E ’l conosce per suo come lo scorge.

Subito il Re dal cavaliero impetra,
     Che non accosti al vino anchor le labbia,
     E gli dimanda, s’ei mai conobbe Etra,
     E come quella spada acquistat’ habbia.
     Il cavalier dal labro il vino arretra,
     E si palesa al Re, che d’ ira arrabbia:
     Contra la moglie corre, e sfodra l’arme,
     Et ella verso il ciel s’alza co’l carme.

Di novo al Re s’ inchina ei come figlio,
     Stupido del volar de la matrigna.
     L’abbraccia il padre con pietoso ciglio,
     E dice, ben ne fu Palla benigna,
     Da poi che te salvò dal rio consiglio
     De la noverca tua cruda, e maligna,
     Che per veder regnar la prole sua,
     Ascose entro à quel vin la morte tua.

Quanto ella dotta sia ne l’arte maga,
     Il vol, che prese al ciel, te ne fa segno,
     E de la morte tua soverchio vaga,
     Per far del mio reame il figlio degno,
     Mi disse, che per arte era presaga,
     Ch’eri venuto à tormi il giorno, e ’l regno,
     E ch’à schivar questa maligna sorte,
     Non v’haveva altra via, che la tua morte.

Ma l’alma Attica Dea m’aperse gli occhi,
     E scoprir femmi il suo crudele inganno,
     Mostrando à gli occhi miei l’aurati stocchi,
     Che te dal rio venen salvato m’ hanno.
     Hor poi che ’l cielo anchor non vuol, che scocchi
     Contra alcun di noi due l’ultimo danno,
     Vò, che con più d’un dono, e sacrificio
     Riconosciamo un tanto beneficio.

Finito c’han di dar quel cibo al seno,
     Ch’à le vene supplir può per quel giorno,
     Gli mostro il Re d’Athene il sito ameno,
     E tutta la città dentro, e d’ intorno.
     Dove l’ ingegno Greco alto, e sereno
     Hà d’ogni alta scientia il mondo adorno,
     Con questo, e ogni altro segno il padre brama,
     Ch’ ei vegga quanto il pregia, e quanto l’ama.

Come la nova Aurora à predir venne,
     C’havea sul carro il Sol già posto il piede.
     Il sacrificio preparato ottenne
     Dal Re, e da gli altri la promessa fede.
     Scanna il coltel l’ariete, e la bipenne
     Fra l’uno, e l’altro corno il toro fiede:
     E rendon gratie al ciel con questa offerta
     Che lor la maga fraude habbia scoperta.

Siede al convito poi co’l figlio Egeo,
     Con gli huomini più illustri, e più discreti.
     Hor come il soavissimo Lieo
     Fatti hà gli spirti lor più vivi, e lieti
     Da pareggiare il Re di Thebe, et Orfeo
     Comparsero i dottissimi poeti,
     E al suono un de la lira, un de la cetra
     L’alte lodi cantò del figlio d’ Etra.