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Del padre infermo la vita, e l’etade
     Alberga ne la vostra armata palma,
     Hor se in voi regna punto di pietade,
     S’amor punto per lui vi punge l’alma,
     Pietose verso lui le vostre spade
     Privin del sangue rio l’antica salma.
     La prima à quei conforti il colpo invia,
     Et empia vien per voler esser pia.

È ver, che volge in altra parte gli occhi
     Ne vuol veder ferir l’audace mano.
     L’altre con questo essempio alzan gli stocchi
     Togliendo gli occhi al colpo empio, e profano.
     Come fan sangue i parricidi, e sciocchi
     Ferri, resta l’incanto, e ’l sonno vano;
     Si sveglia il padre, e vede i colpi crudi,
     E le figlie d’intorno, e i ferri ignudi.

D’alzar la carnal sua ferita spoglia
     Cerca per sua difesa, e dice, ò figlie
     Qual nova crudeltà v’arma la voglia
     À far del sangue mio l’arme vermiglie?
     Tosto, ch’egli dà fuor l’ira, e la doglia,
     E per difesa cerca, ove s’appiglie,
     Vien fredda ogni fanciulla come un ghiaccio,
     E trema à tutte il ferro, il core, e ’l braccio.

Medea, che quelle vede afflitte, e smorte,
     Che far vacar doveano la corona,
     D’età, di membra, e d’animo più forte,
     Mentre bravando il Re non s’abbandona,
     Gli fora il collo, e datogli la morte,
     Ardita il prende sù la sua persona,
     Et à le meste figlie dà coraggio
     E dice, che ’l farà robusto, e saggio.

L’anchor credule vergini per quello,
     Che vider del decrepito montone,
     Ch’essendo morto uscì del rame agnello,
     E per lo rinovato in prima Esone,
     Credendo, che rifar giovane, e bello,
     Debbia il lor Re la moglie di Giasone,
     L’aiutano à portar con questa speme,
     Dove nel cavo rame il fonte freme.

La Maga, che quel Re ne l’onde vede,
     Ch’occupava al suo sposo il regio manto,
     Per non dar tempo à la vendetta chiede
     Il veloce dragon con novo incanto.
     Pon sopra il carro il fugitivo piede,
     E lascia le nemiche in preda al pianto,
     Che i ferri havean, che fur nel padre rei,
     Presi per vendicarsi sopra lei.

Non porge orecchie à l’alte strida, e à l’onte
     Medea, che le fanciulle à l’aria danno,
     Ma drizza il volto ad Otri à l’alto monte,
     Che dal diluvio già non hebbe danno.
     Dove Cerambo andò con altra fronte,
     Quando il vestir le penne, e non il panno,
     Dargli à le Ninfe allhora i vanni piacque,
     Che potesse fuggir l’ ira de l’acque.

Vede l’Eolia Pitane in disparte,
     Là dove fè il dragon di marmo il dorso,
     E vaga di veder quindi si parte,
     E ver la selva d’Ida affretta il corso.
     Dove fè Thioneo con subit’arte
     D’un toro un cervo, e al figlio diè soccorso,
     E per torlo à la morte, e à l’altrui forza
     Ascose il furto suo sott’altra scorza.

In quella arena poi le luci intese,
     Che diè sepolcro al padre di Corito,
     E dove sbigottì (quando s’intese)
     Di Mera il latrar novo il monte, e ’l lito.
     Corse da poi dove le corna prese
     Ogni donna, e fè udir l’alto muggito
     D’Euripilo nel vago, e fertil campo,
     Allhor, ch’indi partissi Hercole, e ’l campo.

Passò dove gli horribili Telchini
     Hebber si fiero l’occhio, empio l’aspetto,
     Ch’in Rodi, ov’eran magici indovini,
     Tutto quel, che vedean, rendeano infetto.
     Cangiavan gli animali, i faggi, e i pini,
     E ciò, ch’ à gli occhi lor si facea obbietto.
     Giove al fin gli hebbe in odio, e gli disperse,
     E nell’ onde fraterne gli sommerse.