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La paterna pietà, la ferma spene
     Di migliorar l’imperio, e la lor sorte,
     Se l’età più robusta il padre ottiene,
     Se s’allontana alquanto da la morte;
     Il non veder, che ’l modo, ch’ella tiene,
     È per ripor nel regno il suo consorte,
     Fè la mente d’ogn’una incauta, e vaga
     D’ottener questa gratia da la maga.

E con preghi giovevoli, e con quanto
     Sapere è in lor, pregan la donna accorta.
     Non rispond’ella, e stà sospesa alquanto,
     E mostra in mente haver cosa, ch’ importa.
     Noi non dobbiamo usar l’arte, e l’incanto,
     Se non habbiamo il ciel per nostra scorta,
     (Disse poco dopò) ma, s’io ben noto,
     Tosto propitio fia de cieli il moto.

Quella pietà paterna, che vi move,
     À me talmente ha intenerito il petto,
     Che Pelia io vò vestir di membra nove,
     Ringiovenirgli l’animo, e l’aspetto.
     Ma vò, ch’in un monton prima si prove,
     Se può l’ incanto mio far questo effetto.
     Pria, che ’l sangue di Pelia sparso sia,
     Vi voglio assicurar de l’arte mia.

Secondo che comanda ella, s’elegge
     Dove stava l’ovil fuor del castello,
     Il più vecchio monton, che sia nel gregge,
     Per rinovargli la persona, e ’l vello.
     Intanto su’l suo dorso il forno regge
     Il rame, che vuol far l’ariete agnello.
     Medea fà, che di sotto il foco abonda,
     E fa consumar l’herba, e fremer l’onda.

Ella di quel liquore havea portato,
     Che gia fè rinverdir la secca oliva,
     E n’havea tanto in quel vaso gittato,
     Che dar potea al monton l’età più viva.
     Poi per le corna havendolo afferrato
     Del poco sangue, c’ha, le vene priva,
     E come il pon nel bagno essangue, e morto,
     S’aviva, e l’onda mangia il corno attorto.

Le corna attorcigliate, e gli anni strugge,
     E già il monton l’etate ha più superba.
     La vena il novo sangue acquista, e sugge,
     Tanto, ch’in tutto ottien l’età più acerba.
     Come ella il pon di fuor, lascivo fugge,
     E chiede il latte, e non conosce l’herba;
     Et hor si ferma, hor bela, hor corre, hor gira
     Secondo il desir novo il move, e tira.

Allegrezza, e stupor subito prende,
     Come vede l’agnel la regia prole.
     Sparsa ella del liquor la terra rende,
     E germogliar fa i gigli, e le viole.
     Tal, che ’l miracol doppio ogn’una accende
     À crescer le promesse, e le parole.
     Dic’ella non poter condur l’altr’opra,
     Fin, che la terza notte il Sol non copra.

Già il corpo oscuro, e denso de la terra
     Tre volte à gli occhi loro havea fatt’ombra,
     Quando volendo fare andar sotterra
     Medea di Pelia ingiusto il corpo, e l’ombra,
     D’ogni virtù contraria à la sua guerra
     Fatta havea la caldaia ignuda, e sgombra,
     E tutta piena havea la ramea scorza
     D’un puro fonte, e d’herbe senza forza.

L’incanto, e ’l sonno havea co’l Re legata
     La corte sua ne l’otioso letto,
     E Medea con le vergini era entrata
     Dove dovean dar luogo al crudo effetto.
     La spada ignuda ogn’una havea portata,
     Con cui passar voleano al padre il petto,
     Medea mostrando il Re dal sonno oppresso,
     Cosi le spinse al parricida eccesso.

Eccovi il vostro padre in preda al sonno,
     E i vostri pugni quei tengon coltelli,
     Ch’à lui votar l’antiche vene ponno,
     S’aman, che ’l sangue suo si rinovelli.
     Se de la vita ei fia più tempo donno,
     S’anni robusti ei fà de gli anni imbelli,
     Mirate, quanto migliorar potete
     Ne gli sposi propinqui, ch’attendete.