Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/246

Quando per la soverchia età s’accorse
     Eson, ch’era mal’ atto à governare,
     E che Giason troppo fanciullo scorse,
     Non volle quel maneggio al figlio dare,
     Anzi lo scettro del suo regno porse,
     Perche ’l potesse reggere, e guardare,
     A Pelia suo fratel per tanto tempo,
     Che ’l tenero Giason fosse di tempo.

E ’l zio poi ver Giason empio, e rubello
     L’oracol, che gli diè sospitione,
     Ch’uccidere il dovea più d’un coltello
     Per opra d’un, ch’esser credea Giasone,
     Però prima il mandò per l’aureo vello,
     Per darlo in Colco al regno di Plutone,
     E poi, ch’ei diede à quella impresa effetto,
     Hebbe del suo valor maggior sospetto.

Mentre con modo, e con parlare honesto,
     Col rispetto, c’haver si debbe al zio,
     Giason chiedendo il suo, gli fù molesto,
     Ei cibò ogni hor di speme il suo desio.
     Dicendo, s’io no’l rendo cosi presto,
     Move giusta cagion l’animo mio.
     Giason di creder finge, come accorto,
     Poi che gli è forza à sopportar quel torto.

Che Pelia in mano havea tutto ’l thesoro,
     Ogni cittade, ogni castel più forte,
     Al nipote assegnato havea tant’oro,
     Quanto potea bastar per la sua corte.
     Quando andò contra il drago, e contra il toro,
     Perche in preda pensò darlo à la morte,
     Per infiammarlo meglio à quella impresa,
     Non gli mancò d’ogni honorata spesa.

S’accomodò Giason come prudente,
     À l’animo del zio con finto core,
     E à varij modi havea volta la mente,
     Che ’l poteano ripor nel regio honore.
     E con la moglie ragionò sovente
     Di far morir l’ingiusto Imperadore.
     La donna diede al fin contra il tiranno
     Effetto al lor pensier con questo inganno.

Ne và con finte lagrime al castello
     Del zio, verso il suo sposo avaro, e infido,
     Dove stracciando il crin sottile, e bello,
     Scopre il finto dolor con questo strido,
     Oime, ch’io feci acquistar l’aureo vello
     À questo ingrato, e gli diei nome, e grido,
     E rea contra il fratello, e ’l padre fui,
     Per haver poi tal guiderdon da lui.

Comanda il Re, ch’ innanzi non gli vegna
     La moglie del nipote, che si duole,
     Che sà, ch’ella è qualche querela indegna,
     Che fra marito, e moglie avenir suole.
     Ma mentre che la lor discordia regna,
     Che debbiano, comanda à le figliuole,
     In qualche appartamento à lor vicino
     La consorte raccor del lor cugino.

Le figlie desiose di sapere
     Da Medea la cagion del suo lamento,
     Ricevon lei con le sue cameriere
     In uno adorno, e ricco appartamento.
     Contando ella il suo duol mostra d’havere
     Del ben fatto à Giason rimordimento,
     E che l’ha colto in frode, e l’haria morta,
     S’ella non si fuggia fuor della porta.

E riprendendo l’adulterio, e ’l vitio,
     Ch’al nodo coniugal non si richiede,
     Dicea mille parole in pregiuditio
     De la sua lealtà, de la sua fede;
     E rimembrava ogni suo benefitio,
     Ogni aiuto, e consiglio, che gli diede,
     E ch’à tradir colei tropp’era ingiusto,
     Ch’al padre havea ringiovenito il busto.

E che tal torto far non le dovea,
     Renduto havendo à Eson robusto l’anno.
     E di quest’opra sua spesso dicea,
     Perch’era il fondamento de l’inganno.
     Tanto, che l’odio finto di Medea
     Chieder fè à le fanciulle il proprio danno,
     Ch’al troppo vecchio padre, e senza forza
     Volesse rinovar l’antica scorza.