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settimo. 117

Del lupo ambiguo poi, che si trasforma
     Fra l’herbe rare pon, che ’l bagno fanno,
     Di quel, c’hor hà di lupo, hor d’huom la forma,
     La qual suol prender varia ogni non’anno.
     Fra tanta strana, e innumerabil torma
     Di cose, ch’entro al rame si disfanno,
     D’una cornice il capo al fin vi trita,
     C’hà visto nove secoli di vita.

La saggia, e dotta incantatrice come
     Tutte quelle sostanze hà in un ridotte,
     Con cose altre infinite senza nome,
     Che seco dal suo regno havea condotte,
     Pria, che toglia ad Eson l’annose some,
     Vuol far l’esperientia se son cotte,
     D’olivo un secco ramo, e senza fronde
     V’immerge, e l’herbe volge, alza, e confonde.

Ecco che ’l ramo seco il secco perde,
     Tosto che ’l bagnan l’onde uniche, e dive.
     Ella il trahe fuor del bagno, e ’l trova verde,
     E dopò il vede ornar di fronde vive:
     Ma ben la speme in lei maggior rinverde
     Quando il vede fiorir d’acerbe olive,
     E mentre ella vi guarda, e se n’allegra,
     D’olio ogni oliva vien gravida, e negra.

L’humor, che nel bollir s’inalza, e cade,
     E passa sopra l’orlo, et esce fuori,
     E per la corte fà diverse strade,
     Tutte le fà vestir d’herbe, e di fiori.
     Fan la stagion fiorir de l’aurea etade
     Il minio, il croco, e mille altri colori.
     Per tutto, ov’ella sparge il succo, e ’l prova,
     Nasce la primavera, e l’herba nova.

Medea, che vede maturar l’oliva,
     E d’herbe, e varij fior la corte piena,
     Stringe il coltello, e fere il vecchio, e priva
     Del poco humor la stupefatta vena:
     Poi nel grato liquor, che ’l morto aviva,
     Il vecchio in tutto essangue infonde à pena,
     Che ’l sacro humor, che bee la carnal salma,
     In un punto il vigor gli rende, e l’alma.

Com’entra per la bocca il grato fonte,
     E per dove il coltel percosso l’have,
     La crespa, macilente, e debil fronte
     Perde il pallore, e vien severa, e grave.
     Par ch’ogni hor più le forze in lui sian pronte,
     E che la troppa età manco l’aggrave.
     Egli il centesimo anno havea già pieno,
     E più di trenta già ne mostra meno.

Il volto de le crespe ogni hor più manca,
     S’empie di succo, e acquista il primo honore.
     Già tanto la canicie non l’imbianca,
     Anzi più vivo ogni hor prende il colore.
     La barba è mezza nera, e mezza bianca,
     Già la bianchezza in lei del tutto more;
     È ver, che qualche pel bianco anchor resta
     Fra i novi crin de la cagnata testa.

Com’esser giunto ad otto lustri il vede,
     A gli anni, c’han più nervo, e più coraggio,
     La dotta Maga il fà saltare in piede
     Per non lo far più giovane, e men saggio.
     L’ama di quarant’anni, perche crede,
     Che quel tempo ne l’huomo habbia vantaggio,
     Perche l’età viril, dov’ella il serba,
     È più forte, più saggia, e più superba.

Vide Lieo da l’alto eterno chiostro,
     Gli occhi abbassando in ver l’Emonia corte,
     Questa alta maraviglia, e questo mostro,
     Che fè Medea nel padre del consorte.
     Scende tosto dal cielo al mondo nostro,
     Dove ottien da Medea l’istessa sorte,
     E dà gli anni più belli, e più felici
     A l’invecchiate Ninfe sue nutrici.

Questa maga dottrina, e questi incanti
     Non opran sempre il ben, ne rendon gli anni.
     E veggasi à gli poi commessi tanti
     Da la cruda Medea mortali inganni.
     Dati havea di Giason pochi anni avanti
     Due figli à sopportar gli humani affanni
     Quando volse Medea l’arte, e l’ingegno
     A racquistare à lor l’oppresso regno.