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Il grato odor de l’incantate foglie,
     Che continuo sentir gli aurati augelli,
     Fecer, che quei gittar l’antiche spoglie,
     E diventar più giovani, e più belli.
     À l’albergo la donna il fren raccoglie
     Di quello da cui vuol dar gli anni novelli:
     Non entra per allhor dentro al coperto,
     Ma vuol, che sia il suo tetto il cielo aperto.

Fugge il marito, e ’l coniugal diletto,
     E di due belli altari orna la corte,
     De quali il destro ad Ecate fu eretto,
     L’altro à l’età più giovane, e più forte.
     E poi ch’à quelli ornò di sopra il letto
     D’herbe, e di fior d’ogni propitia sorte,
     Scelse fra molti arieti uno il più bello,
     C’havea dal capo al piè d’inchiostro il vello.

Co i crini sparsi come una baccante
     Prima, che co’l coltel l’ariete uccida,
     Gli afferra un corno, e con parole sante
     Tre volte intorno à i sacri altari il guida,
     Innanzi à l’are poi ferma le piante,
     Fra l’una, e l’altra Dea propitia, e fida,
     E fa del sangue suo tepida, e rossa
     La fatta à questo fin magica fossa.

Sopra gli altari poi fe, che ’l foco arse,
     Indi di latte una gran tazza prese,
     Una di mele, e su’l monton le sparse
     Pria che ’l ponesse in sù le fiamme accese.
     E dopo fe, che ’l vecchio Eson comparse,
     E sopra l’herbe magiche il distese
     Co’ versi havendo pria, che cio far ponno,
     Date l’antiche membra in grembo al sonno.

Tutti i servi, e Giason fa star lontani,
     Per l’innanzi d’altrui non cerca officio,
     Non vuol, ch’à veder stian gli occhi profani
     I misterij secreti, e ’l sacrificio.
     China il ginocchio pio, giunge le mani,
     E gli occhi intende à l’infernal giudicio,
     E mentre arde il monton sù l’altar santo,
     Placa gli Stigij Dei con questo canto.

Le Stigie forze tue Plutone amiche
     Rendi à la mia rinovatrice palma,
     E non voler, ch’indarno io m’affatiche
     Per far nova ad Eson la carnal salma,
     Non voler defraudar le membra antiche
     De la vecchia insensata, e miser’alma,
     E se ben toglio il sangue, à le sue vene,
     Non dar lo spirto anchora à le tue pene.

Mandati questi preghi alzossi, e tolse
     Fatte per questo fin faci diverse,
     E dove il sangue del monton raccolse,
     Tutte con muto orar le tinse, e asperse.
     Et accese, e locate, il canto sciolse,
     Et à Pluton di novo si converse,
     Tre volte humile à lui piegò il ginocchio,
     E tre volte drizzogli il prego, e l’occhio.

Fatto ogni gesto pio, detto ogni carme,
     Che placato rendea l’inferno, e Pluto,
     À la Dea maga, et à le magich’arme
     Paga con altri preghi altro tributo.
     Poi prega l’altra Dea, che per lei s’arme,
     E non le manchi del suo fido aiuto.
     Tre volte il vecchio poi purga co’l lume
     Acceso, e tre co’l zolfo, e tre co’l fiume.

Nel cavo rame intanto alto, e capace
     L’acque, i fior, le radici, e l’herbe, e ’l seme,
     Per lo calor, che rende la fornace,
     Tutte le lor virtù meschiano insieme.
     E mentre il foco, e ’l fonte il tutto sface,
     S’alza la spuma, e l’acqua ondeggia, e freme,
     E l’onde andando, e l’herbe hor sopra, hor sotto,
     Fanno un roco romor perpetuo, e rotto.

De sassi, c’ha de l’ultimo Oriente,
     E quelle arene anchor con l’herbe mesce,
     Che lava l’Oceano in Occidente,
     Mentre due volte il giorno hor cala, hor cresce:
     E del Chelidro Libico serpente,
     E del notturno humor, che stilla, et esce
     Da l’alma Luna, aggiunge al cavo rame,
     Con l’ala Strigia tenebrosa, e infame.