Come la nave vincitrice torna
Con lo vello de l’or per tanto mare,
Di Thessaglia ogni madre il crine adorna,
E porta incenso, e mirra al sacro altare.
Indorano à le vittime le corna
I vecchi padri, e fan l’altar fumare,
E al ciel dan gratie, che da tai perigli
Habbia salvati i coraggiosi figli.
Ogni ordine, ogni etate al tempio venne
A venerare il santo sacrificio,
Eccetto il vecchio Eson, che gli convenne
Mancar per li troppi anni à tanto officio.
La decrepita età per forza il tenne
Rinchiuso ne l’antico alto edificio.
E fu cagion, che ’l suo pietoso figlio
Prendesse à tanto mal questo consiglio.
Rivolto à la dolcissima consorte,
Scoperse il suo pensier con questo suono.
Del vecchio padre mio già saggio, e forte
Ne l’arme, e ne’ consigli esperto, e buono,
Per esser troppo prossimo à la morte
Le forze antiche, e le sententie sono
Perdute, e fuor del senno; et io vorrei
Dare una parte à lui de gli anni miei.
Se bene i merti tuoi son tanti, e tanti,
Che debitor perpetuo mi ti chiamo,
Se posson tanto i tuoi stupendi incanti
(Ma che non ponno?) un’altra gratia io bramo.
Vorrei de gli anni miei donare alquanti
A quel, cui debbo tanto, e cui tant’amo:
Si che levato à lui lo schivo aspetto
Di vigore abondasse, e d’intelletto.
Non potè udir la moglie senza sdegno,
Ne senza lagrimar gli accenti sui.
Passa la tua pietà poi disse il segno,
Se ben giusto è ’l desio d’aiutar lui;
Non stimo al mondo alcun di te più degno,
Ne gli anni à te vò tor per dargli altrui.
A l’arte maga, ad Hecate non piaccia,
Ch’à gli anni illustri tuoi tal torto io faccia.
Ma farò ben non men gradite prove,
Per adempir pensier si giusto, e pio,
Poi ch’à maggior pietate Eson mi move,
Che non fè mai l’amor del padre mio.
Se la triforme Dea quella in me piove
Gratia, ch’è proprio aiuto al tuo desio;
Io porrò lui fra quei, che ponno, e sanno,
Senza ch’à gli anni tuoi faccia alcun danno.
Tre volte il biondo Dio, che ’l mondo aggiorna,
Havea nascosto il luminoso raggio;
Tre volte havea la Dea di stelle adorna,
Fatto sopra i mortali il suo viaggio;
E già congiunte havea Cinthia le corna,
E dava del suo lume il maggior saggio;
Quando Medea lasciò l’amate piume
Et al propitio uscì notturno lume.
Discinta, e scalza, e con le chiome sparte
Sopra gli homeri inconti ella uscì sola
Ne l’hora, ch’è ne la più alta parte
Del ciel la notte, e in ver l’Hesperia vola,
Quando più grato il suo favor comparte
Il sonno, e ch’à mortai la mente invola,
Quando per nostro commodo, e quiete
Ne sparge i sensi del liquor di Lete.
Ne l’huom, ne altro animale il piè non porta,
Muto, et attorto stà l’aureo serpente;
Humido tace l’aere, e l’aura è morta,
Ne una fronde pur mover si sente;
Soli ardon gli astri, à cui la maga accorta
Tre volte alzò le man, gli occhi, e la mente;
E tre co’l fiume viro il crin cosperse,
E tre senza parlar le labbra aperse.
Con le ginocchia al fin la terra preme,
E di novo alza à la parte alta, e bella
La mente, e gli occhi, e le man giunte insieme,
E con sommesso suon cosi favella.
Porgete aiuto à l’arte, ond’hoggi ho speme
Di rendere ad Eson l’età novella,
Tu fida notte, e voi propinqui Numi
Di monti, e boschi, e d’onde salse, e fiumi.