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settimo. 115

Verso il forte Giason veloci vanno,
     E danno ogni hor per via più forza al corso,
     Ma giunti appresso à lui fermi si stanno,
     Che ’l canto di Medea lor pone il morso
     Vist’ei, che non gli posson più far danno,
     Lor palpa dolce la giogaia, e ’l dorso,
     E tanto ardito hor gli combatte, hor prega,
     Ch’à l’odioso giogo al fin gli lega.

Con lo stimolo i tori instiga, e preme,
     E co’l vomero acuto apre la terra,
     E l’uno, e l’altro bue ne mugghia, e geme:
     Ma il crudo giogo à lor l’orgoglio atterra.
     Giason vi sparge il venenoso seme,
     E poi con novo solco il pon sotterra.
     S’ingravida il terren, ne molto bada,
     Che manda fuor la mostruosa biada.

Ornati di metallo il capo, e ’l fianco,
     Molti uscir de la terra huomini armati,
     D’aspetto ogn’un si fier, di cor si franco,
     Che di Bellona, e Marte parean nati.
     A Greci fer venir pallido, e bianco
     Il volto, poi ch’i ferri hebber chinati,
     Tutti ristretti in ordine, e in battaglia
     Contra il guerriero invitto di Thessaglia.

Ma à più d’ogni altro fè pallido il viso
     A la figlia del Re, se ben sapea,
     Che non potea da loro essere ucciso,
     Se de l’incanto suo memoria havea.
     Si stà Giason raccolto in sù l’aviso,
     E poi secondo gl’insegnò Medea,
     Un sasso in mezzo à l’inimico stuolo
     Aventa, e rompe tutti un colpo solo.

Come in mezzo del campo il sasso scende,
     E ’l verso ei dice magico opportuno,
     L’un fratel contra l’altro in modo accende,
     Che fan di lor due campi, dov’era uno.
     L’infiammata Medea, che non intende,
     Che debbia il vecchio Eson vestir di bruno,
     Più d’un verso adiutor dice con fede,
     Secondo l’arte sua comanda, e chiede.

L’incanto, che il lor primo intento guasta,
     Infiamma al fiero Marte ambe le schiere,
     Tal, che l’un contra l’altro il ferro, e l’hasta
     Con gridi, e con minaccie abbassa, e fere;
     E con tal’odio, e rabbia si contrasta,
     Che fan vermiglie l’herbe, e le riviere:
     E i miseri fratei di varia sorte
     Per le mutue percosse hanno la morte.

Un percosso di stral sù l’herba verde
     Cade, quei di spunton, questi di spada,
     Tanto, che tutta al fin la vita perde
     La già superba, et animata biada.
     L’animoso Giason, che vuole haver de
     L’impresa il sommo honor, prende la strada
     Verso il troncon, che di doppio oro è grave,
     Contra il crudo dragon, ch’in guardia l’have.

Il venenoso drago alza la testa
     Quando vede venir l’ardito Greco,
     Co’l ferro ignudo in pugno, e che s’appresta
     Per lo vello de l’oro à pugnar seco;
     Gli và superbo incontra, et ei l’arresta,
     E con l’herbe, e co i versi il rende cieco.
     Gl’incanti, e le parole tanto ponno,
     Che danno il miser drago in preda al sonno.

S’allegran gli Argonauti, e fanno honore
     Al lor Signor vittorioso, e degno,
     E mostra aperto ogn’un nel volto il core,
     Ogn’uno il valor suo loda, e l’ingegno.
     Corre secondo il patto il vincitore,
     E toglie il ricco pregio à l’aureo legno:
     No’l soffre volentier quel, ch’ivi regge,
     Ma non vuol contraporsi à la sua legge.

La barbara fanciulla anch’ella brama
     D’honorare, e abbracciar l’amato Duce,
     Ma l’honestà da questo la richiama,
     Ne vuol, che l’amor suo scopra à la luce.
     Poco dopò con quel, ch’ella tant’ama,
     Su’l legno ascosamente si conduce:
     Spiega Giasone al vento il lino attorto,
     E prende tutto lieto il patrio porto.