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sesto. 109

Ma rivolgendo à la sorella il ciglio,
     Che si duol senza lingua, e senza honore,
     Non può in lei tanto la pietà del figlio,
     Quanto il doppio di lei danno, e dolore.
     L’instiga l’ira al primo empio consiglio,
     E la nova pietà scaccia dal core,
     E havendo in questa, e in quel le luci intese,
     Disse in favor de le nov’ire accese.

Questi hà ben per chiamar la voce humana
     Madre l’afflitta moglie di Tereo,
     Ma questa non può già chiamar germana
     Colei, che seco uscì d’un ventre Acheo.
     E sarebbe pietà tropp’inhumana
     Usare ad huom pietà malvagio, e reo,
     Contra lo sposo mio di pietà ignudo
     Sarà pietade ogni atto horrendo, e crudo.

Come tigre crudele al bosco porta
     Il parto d’una damma, ò d’una cerva,
     Cosi dove men puote essere scorta,
     Porta il figliuol la madre empia, e proterva:
     E à lui, che madre chiama, e la conforta
     A perdonargli, e l’accarezza, e osserva,
     Mentre più l’allusigna, e più la prega,
     Co’l ferro baccanal la gola sega.

Bastò un sol colpo à la sua debil carne,
     Hor Filomena, à cui prima ne ’ncrebbe,
     Vedendo da chi il fè tal stratio farne
     Scacciò quella pietà, che prima n’hebbe,
     E volendo co’l grido inditio darne,
     Mancò la lingua, e la sua furia accrebbe;
     E corse anch’ella infuriata, e in fretta
     A far di quel figliuol stratio, e vendetta.

Scopre il suo core allhor l’ingiusta madre,
     E d’accordo di pasta un vaso fanno,
     E le sue membra già vaghe, e leggiadre
     Tagliate in mille pezzi al vaso danno,
     Ch’in mensa il voglion porre innanzi al padre,
     E dopo farlo accorto del suo danno,
     E per lo fallo altrui si taglia, e spolpa
     Il misero garzon, che non n’hà colpa.

Senza scarnarla sol lascian la testa
     Perche vederla intera il padre possa,
     Tutta macchiata è la stanza funesta
     De l’innocente sangue, e sparsa d’ossa.
     Tosto l’asconde, e chiude in una cesta
     Colei, che del parlare è ignuda, e scossa.
     L’altra segretamente al foco accosta
     La pasta che la carne entro hà nascosta,

Ascosa stà nella macchiata cella
     Serrata à chiave l’infelice muta,
     E ’ntanto l’altra troppo empia sorella
     L’incauto sposo suo trova, e saluta.
     E con la dotta sua Greca favella
     Sà far tanto co’l Re, che non rifiuta
     Di far il baccanal convito seco
     Secondo il patrio suo costume Greco,

Là dove suol ne l’hora matutina,
     Che segile dopo il celebrato officio,
     Gire à mangiare il Re con la Reina
     De varij cibi offerti al sacrificio;
     Ver l’infelici stanze il Re camina,
     Che dier ricetto à l’empio maleficio,
     Quivi s’asside à le mense nefande,
     Dov’eran con l’humane altre vivande.

Restar fa ogni huom di fuor l’iniqua moglie,
     E fa servire il Re da le donzelle,
     Diversi cibi anch’ella in bocca toglie,
     Ma non le paste insidiose, e felle.
     L’incauto Re compiace à le sue voglie,
     E và gustando hor queste cose, hor quelle,
     Tal, che ’l misero al fin per suo consiglio,
     Apre la pasta rea, ch’asconde il figlio.

Gode l’empia consorte, quando vede,
     Ch’apre l’iniqua pasta, e vuol gustarne,
     E l’infelice padre, che le crede,
     Nutrisce se de la sua propria carne.
     Del figlio intanto il miser padre chiede,
     Che spesso à mensa suol diletto trarne,
     Dimanda dove sia, perche non viene
     Ad osservare il rito anch’ei d’Athene?