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sesto. 108

Quando l’afflitta Greca stava anchora
     Rinchiusa, anzi sepolta in quella tomba,
     Hor mentre il rito pio, che Bacco honora,
     Per tutta la città suona, e rimbomba,
     Et ogni donna del suo albergo fuora
     Sentir fa il grido, il timpano, e la tromba,
     E vanno tutte iubilando intorno
     La notte destinata insino al giorno.

Progne, che in mente havea già stabilito
     Di vendicar di sua soror lo scempio
     Contra l’incestuoso, e rio marito
     Con ogni modo più nefando, et empio,
     Vide, che questa pompa, e questo rito
     Con quel poter andar di notte al tempio,
     Era un’occasion molto possente
     Per esseguir la sua tropp’empia mente.

Come la notte à lei scopre le stelle,
     E che l’altro Hemisperio acquista il lume,
     E fan sonar le madri, e le donzelle
     L’othone, e ’l bosso al solito costume;
     Progne d’una cerviera illustre pelle
     S’orna, e di tutto quel c’honora il Nume,
     E corre con le serve al grido insano,
     Co’l ferro cinto al fianco, e ’l Thirso in mano.

Per honorar l’illuminata notte
     Da fiaccole, da torchi, e da lanterne,
     Insieme van le caste, e le corrotte,
     Ó siano cittadine, ò siano esterne.
     Tanto, ch’allhora aperte havean le porte,
     Et accresciuti i gridi, e le lucerne
     Le infami donne del serraglio regio
     Per goder l’antiquato privilegio.

Da Filomena in fuor non v’è, chi reste,
     Che sola stà nel suo perpetuo affanno.
     Che non corra à honorar l’allegre feste,
     Ch’à l’inventor del vin le donne fanno.
     Le violate femine, e l’honeste
     Di quà, di là con la Reina vanno,
     Per le parti di mezzo, e per l’estreme,
     Che metter vuol le sue vassalle insieme.

Ver l’infame serraglio affretta il piede,
     E fa cader la vitiosa porta,
     E corre dove la sorella siede
     Imprigionata anchor, ma senza scorta.
     Come in stato si misero la vede
     L’infelice Regina come accorta,
     Che non si scopra, accenna, e ’l laccio rompe,
     Ma segua lei con l’opportune pompe.

Le gitta intorno subito una vesta,
     Per quei misterij accommodata, e buona,
     E seguir fa la strepitosa festa,
     E tutta la città corre, et introna.
     Al tempio van per far quel, ch’à far resta,
     Si fa l’officio pio, si grida, e suona,
     Poi si torna à l’albergo, e sol ritiene
     Progne l’afflitta giovane d’Athene.

Accortamente la trasfuga, e toglie,
     E à l’infelice camera la mena,
     Piangendo smanta le festive spoglie,
     La bacia, e con le braccia l’incatena.
     Non bacia, e non risponde à le sue voglie
     L’afflitta, e sconsolata Filomena,
     Ma il volto abassa lagrimoso, e smorto
     Per haver fatto à la sorella torto.

E volendo scusar la carnal salma,
     Ch’à forza venne à gli atti obsceni, e rei,
     E che se ’l corpo errò, non peccò l’alma,
     E non fe torto al sangue regio, e à lei;
     In vece de la voce alza la palma,
     E gli occhi estolle à sempiterni Dei,
     E con più cenni misera si sforza
     Giustificar, che le fu fatto forza.

Di quà, di là la prole Attica piange,
     E del Re ingiusto si querela, e dole,
     E scopre il mal, che la tormenta, et ange,
     L’una con cenni, e l’altra con parole.
     È ver, che questa, e quella il grido frange,
     E cheta si lamenta, che non vole
     Esser sentita, e ’l Re s’accusa intanto
     Con taciturno grido, e muto pianto.