Quando l’afflitta Greca stava anchora
Rinchiusa, anzi sepolta in quella tomba,
Hor mentre il rito pio, che Bacco honora,
Per tutta la città suona, e rimbomba,
Et ogni donna del suo albergo fuora
Sentir fa il grido, il timpano, e la tromba,
E vanno tutte iubilando intorno
La notte destinata insino al giorno.
Progne, che in mente havea già stabilito
Di vendicar di sua soror lo scempio
Contra l’incestuoso, e rio marito
Con ogni modo più nefando, et empio,
Vide, che questa pompa, e questo rito
Con quel poter andar di notte al tempio,
Era un’occasion molto possente
Per esseguir la sua tropp’empia mente.
Come la notte à lei scopre le stelle,
E che l’altro Hemisperio acquista il lume,
E fan sonar le madri, e le donzelle
L’othone, e ’l bosso al solito costume;
Progne d’una cerviera illustre pelle
S’orna, e di tutto quel c’honora il Nume,
E corre con le serve al grido insano,
Co’l ferro cinto al fianco, e ’l Thirso in mano.
Per honorar l’illuminata notte
Da fiaccole, da torchi, e da lanterne,
Insieme van le caste, e le corrotte,
Ó siano cittadine, ò siano esterne.
Tanto, ch’allhora aperte havean le porte,
Et accresciuti i gridi, e le lucerne
Le infami donne del serraglio regio
Per goder l’antiquato privilegio.
Da Filomena in fuor non v’è, chi reste,
Che sola stà nel suo perpetuo affanno.
Che non corra à honorar l’allegre feste,
Ch’à l’inventor del vin le donne fanno.
Le violate femine, e l’honeste
Di quà, di là con la Reina vanno,
Per le parti di mezzo, e per l’estreme,
Che metter vuol le sue vassalle insieme.
Ver l’infame serraglio affretta il piede,
E fa cader la vitiosa porta,
E corre dove la sorella siede
Imprigionata anchor, ma senza scorta.
Come in stato si misero la vede
L’infelice Regina come accorta,
Che non si scopra, accenna, e ’l laccio rompe,
Ma segua lei con l’opportune pompe.
Le gitta intorno subito una vesta,
Per quei misterij accommodata, e buona,
E seguir fa la strepitosa festa,
E tutta la città corre, et introna.
Al tempio van per far quel, ch’à far resta,
Si fa l’officio pio, si grida, e suona,
Poi si torna à l’albergo, e sol ritiene
Progne l’afflitta giovane d’Athene.
Accortamente la trasfuga, e toglie,
E à l’infelice camera la mena,
Piangendo smanta le festive spoglie,
La bacia, e con le braccia l’incatena.
Non bacia, e non risponde à le sue voglie
L’afflitta, e sconsolata Filomena,
Ma il volto abassa lagrimoso, e smorto
Per haver fatto à la sorella torto.
E volendo scusar la carnal salma,
Ch’à forza venne à gli atti obsceni, e rei,
E che se ’l corpo errò, non peccò l’alma,
E non fe torto al sangue regio, e à lei;
In vece de la voce alza la palma,
E gli occhi estolle à sempiterni Dei,
E con più cenni misera si sforza
Giustificar, che le fu fatto forza.
Di quà, di là la prole Attica piange,
E del Re ingiusto si querela, e dole,
E scopre il mal, che la tormenta, et ange,
L’una con cenni, e l’altra con parole.
È ver, che questa, e quella il grido frange,
E cheta si lamenta, che non vole
Esser sentita, e ’l Re s’accusa intanto
Con taciturno grido, e muto pianto.