Che chiama, (ove dannar dovria il consorte)
Crudele, e ingiusto il vento il mare, e ’l fato.
Dove piange la sua mentita morte,
Pianger dovrebbe il suo più crudo stato.
Si veste tutta à bruno ella, e la corte,
Al tempio và di panni oscuri ornato,
E l’otiose essequie à la fals’ombra
Fà sù ’l tumul cantar, che nulla ingombra.
Hor che farà la tua pianta germana,
Che si stà ne la torre imprigionata,
Ch’esca non vuol de l’odiosa tana
Chi l’hà in custodia, il muro, e la ferrata.
Le manca per ridir la voce humana
Il torto, c’hà il Re fatto à la cognata:
Per farlo al fin sapere à la sirocchia,
Le servì il subbio, il fuso, e la conocchia.
Per rimaner dal gran dolor men vinta,
E fuggir l’otio, havea l’afflitta tolta
Bavella cruda, e seta usata, e tinta,
E in fil ridotta, e intorno al fuso avolta.
Poi ne fece lina tela, ove dipinta
Havea del Re l’ingiuria infame, e stolta,
E v’havea il caso suo talmente impresso,
Che chiaro si leggea tutto ’l successo.
Quanto contrario al tuo desir l’effetto
Fù nel formar l’industrioso panno,
Tu per alleggerir la pena al petto,
Ti desti tutta al subbio intorno à un’anno.
Ma pingendo il tuo mal, l’altrui difetto
Ti ricordo ogni punto il biasmo, e ’l danno,
E ’l tesser, che ’l tuo duol dovea far meno,
Ti fè irrigar di doppio lutto il seno.
Con sospiri infiniti, e amaro pianto
L’historiata tela al fin condusse:
Indi piegolla, e le fè intorno un manto,
Perche vista per via d’alcun non fusse.
Poi con cenni, e lusinghe operò tanto,
Ch’al fin la muta al suo voler ridusse,
E capace la fè, che quel presente
Portasse à la Reina ascosamente.
Lieta l’astuta vecchia il toglie, e ’l porta,
Che d’acquistarne il beveraggio crede,
E come spiritosa, e bene accorta
A la Reina il dà, ch’alcun no ’l vede,
E accenna, ch’entro v’è cosa, ch’importa,
E ’n ricompensa qualche cosa chiede.
La liberal Reina il cenno intende,
E contenta la muta, e ’l panno prende.
Come poi le sue luci apron le porte
Al miserabil verso, che discopre
L’obbrobrioso incesto del consorte,
E tutte l’altre sue malefich’opre,
Quanto entro l’ira il duol l’occupi forte,
Mostra il morto color, che ’l volto copre,
Bench’à cangiarsi il suo color stà poco,
E infiamma il viso suo d’ira, e di foco.
Ben disforgare il duol cerca, e lo sdegno,
Che dentro la consuma, e la disface,
Ma per non si scoprir non ne fa segno,
Ma frena il pianto, e ’l grido, e duolsi, e tace.
Come un rinchiuso acceso arido legno
Suol render maggior caldo à la fornace,
Cosi la doglia in lei chiusa, e ristretta
Rende più acceso il core à la vendetta.
Lo stupro fatto à la sorella amata,
Il tolto honore al sangue Attico regio,
L’haver la lingua toltale, e fregiata
La stirpe sua di cosi infame fregio
La rendon si rabbiosa, e disperata,
Che la sua vita non ha punto in pregio,
Ma cerca tutta imaginando intesa,
Che la vendetta superi l’offesa.
Havea tutto ’l zodiaco il Sol trascorso,
E dato il ghiaccio, e ’l foco al nostro lido,
Et ogni segno in quel viaggio occorso
Gli havea per trenta dì concesso il nido;
Et era giunto il dì, ch’allenta il morso
Al muliebre irragionevol grido;
Il dì, nel qual le donne insane vanno,
E ch’al bimatre Dio l’officio fanno.