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Che ti giova accennarmi, ò farmi vezzi?
     Io pur del voler tuo troppo m’accorgo,
     Ma non fia mai, che te non odij, e sprezzi,
     Per la troppa barbarie, ch’in te scorgo.
     E quanto più m’accenni, e m’accarezzi,
     Tanto fa il pianto mio più colmo il gorgo,
     Che mi torni à memoria il duolo, e ’l danno
     Nato dal tuo finto primiero inganno.

Ne sol non tacerò la tua menzogna,
     Et ogni vitio tuo mentre son viva,
     Ma deposto il rispetto, e la vergogna,
     Di piazza, in piazza andrò, di riva in riva.
     E con ogni acerbisssma rampogna
     Scoprirò l’opra tua nefanda, e schiva,
     E che tradì la tua barbarie ingrata
     Il socero, la moglie, e la cognata.

Se starò chiusa in questo albergo infido,
     In queste selve strane, in questi monti,
     Il mio dolente, e ingiurioso strido
     Moverà i sassi, gli arbori, e le fonti;
     E tutti i vitij tuoi di grido in grido
     Faro à quest’aere manifesti, e conti.
     E pregol, s’alcun Nume in lui si cela,
     Ch’ascolti il pianto mio, la mia querela.

Tre diero affetti assalto al Tracio petto,
     Tutti in un punto, Amor, timore et ira.
     Amor gli pone innanzi il gran diletto,
     Che stà ne la beltà, chi in lei rimira.
     Il timor, che non scopra il suo difetto,
     À torla al mondo il cor barbaro inspira.
     Accende nel suo cor l’ ira da sezzo
     L’ingiuria di colei, l’odio, e ’l disprezzo.

Può nel Signore ingiusto il timor tanto,
     Ch’ in dubbio stà, se dee sbandir l’Amore.
     L’accende di colei l’ ingiuria, e ’l pianto
     Di desio, di vendetta, e di furore.
     Il calor natural s’ incentra intanto,
     E fa bollire il sangue intorno al core.
     Da la circonferentia al centro corre
     Col foco il sangue, e à suo desio soccorre.

Mentre, che ’l foco intorno al core accese
     L’ardor, ch’al corpo estremo venne manco;
     Quel sangue, ch’al suo centro il corso prese,
     Lasciò il volto crudel pallido, e bianco.
     Ma il cor poi con l’usura il foco rese
     Al volto, ne fu mai si rosso unquanco;
     E de l’ira, che in lui si fè perfetta,
     Rendè ogni estremità turbata, e infetta.

Poi c’hebbe l’ira accesa il furor mosso,
     E fatto il senno à lui men fido, e saggio,
     E ’l volto fè venir di bianco rosso,
     E lampeggiargli ogni occhio come un raggio;
     Privò del ferro il fodro, e corse adosso
     À lei, che stridea anchor per farle oltraggio.
     Ma Amor nel suo bel volto à por si venne,
     E al suo crudo furor troncò le penne.

Ella, che ’l ferro in aria splender vede,
     D’afflitta, e sconsolata vien contenta:
     E, perche debbia ucciderla si crede,
     Liberamente il collo gli appresenta.
     In tanto Amor, che nel suo volto siede,
     Contra il furor di Tereo un dardo aventa:
     L’empio à quel colpo il suo ferir ritarda,
     E d’ ira arso, e d’Amore altier la guarda.

L’ira, e ’l furor di novo in lui s’accende,
     E fuor d’ogni pietà la prende, e lega,
     E non ascolta Amore, e non intende,
     Che nel suo viso il rilusinga, e prega,
     Hor mentre, ch’ella stride, e ’l vilipende,
     E i vitij suoi con più superbia spiega.
     Le pone un legno in bocca, onde non puote
     Serrarla più, ne più formar le note.

Fà il legno il ponte, e toglie la parola
     À lei, che i denti miseri non serra:
     Poi non sò donde una tenaglia invola,
     E la superba lingua invitta afferra,
     In fuor la tira, e fin presso à la gola
     Co’l ferro empio la taglia, e getta in terra;
     La qual per l’orma heril s’aggira, e serpe,
     Come coda suol far tronca dal serpe.