Mentre di pianto il padre il volto tinge,
Risponde al lagrimar la regia prole,
Ma il lutto, e ’l sospirar tanto la stringe,
Che non può dar risposta à le parole.
Promette il Re infedel, lagrima, e finge,
Che, pria, che scaldi il quarto segno il Sole,
Da triremi sicure, e fide scorte
Sarà renduta à le Cecropie porte.
Poi che le sparse lagrime vedute
Hanno à lor volti irruggiadar le gote,
Prega l’Attico Re, che si salute
L’altra figlia in suo nome, e ’l suo nipote.
Sciolte le mani poi, ch’eran tenute
L’una da l’altra, fer tacer le note,
E ’l sopragiunto à Pandion dolore
Porge al presagio suo maggior timore.
Monta il barbaro Re su’l miglior legno,
Ma la fanciulla Achea prima v’invia,
E sopra il palco più elevato, e degno,
Ch’è ne la poppa vuol, che seco stia.
Fece quei, che vi vuol del Greco regno
La bella Filomena in compagnia,
Montar su un’altra sventurata prora,
Da due donzelle, e la nutrice in fuora.
Poi che da cento remi il mar fu rotto,
E ’l lito indietro ribattuto, e spinto,
E fu ne l’alto mar l’arbor condotto,
Disse il barbaro altero; habbiam già vinto:
Il voto in poter nostro habbiam ridotto,
Ne tener può in officio il viso finto.
S’allegra, e ’l mostra, e differisce à pena
Quel ben, che spera, e lieto in Tracia il mena.
Gli occhi dal volto suo mai non rimove,
E gode haverla fuor d’ogni periglio,
Come gode talhor l’augel di Giove,
Che la lepre, c’havea nel curvo artiglio,
Ne l’altissimo cerro hà posta, dove
Ferma nel suo trofo l’altero ciglio;
E gode, che ’l nido alto, ove la tiene,
Nulla à la preda sua porge di spene.
Comanda à un Capitan l’empio tiranno,
Che ne la sua galea nefanda porta
La Greca compagnia, ch’in Tracia vanno
Per fare à la donzella honore, e scorta,
Che come de la notte il nero panno
Faccia l’alma del dì rimaner morta,
E co’l suo manto il mondo al mondo asconda,
I Greci ad un ad un dia in grembo à l’onda.
L’inclinato corsar sempre à far male,
Come splender nel ciel vede le stelle,
S’allontana da gli altri, e dona al sale
Gli huomini ad uno ad uno, e le donzelle.
Le tre, ch’eran nel legno principale,
Smontaro à venerar Nettuno anch’elle,
Che l’ultimo seren, ch’in mar si giacque,
Fur tolte al legno, e fur donate à l’acque.
Come prendon di notte il porto infido,
E godon di toccar l’amata terra,
Non ode Filomena alcun su’l lido
Il linguaggio parlar de la sua terra,
Chiam’alto la nutrice, e più d’un fido
Greco, che morti il mar nasconde, e serra.
Grida il Re, ch’ogni Greco in terra scenda,
E fà, che la fanciulla il grido intenda.
Per man la prende, e fa, che s’accompagne
Seco, e di darla al regio albergo dice,
E che i suoi Greci, e l’altre sue compagne
Intanto ne verran con la nutrice.
Passan con pochi passi le campagne,
E conduce la vergine infelice,
In una antica selva, ove un palazzo
Il Re tener solea per suo solazzo.
Quivi un serraglio il Re barbaro havea
Cinto di grosse, e d’alte mura intorno,
E le fanciulle belle, che potea
Trovar nel Tracio, e ne l’altrui soggiorno,
Da gli Eunuchi guardate ivi tenea,
E vi soleva andar quasi ogni giorno,
E godea per antico suo costume
Con quella, che sciegliea, l’infami piume.