Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/220

Come la bella Filomena intende
     Quel, ch’al padre il Re Tracio persuade,
     E che condurla à veder Progne intende,
     Nel medesmo voler concorre, e cade.
     E quanto il virginal favor si stende,
     Prega humilmente la sua maestade,
     E mentre per suo bene il padre alletta,
     Contra quel, ch’è suo bene, il fato affretta.

Tereo, che vede il gratioso affetto,
     Onde il padre al suo fin mover procaccia,
     E scorge, che la tien degno rispetto
     À non legargli il collo con le braccia:
     Aggiugne nove fiamme à l’arso petto,
     E mille volte co’l pensier l’abbraccia,
     E ’l padre esser vorria per legar lei,
     Ne però i suoi pensier foran men rei.

Tante mosser ragioni hor quello, hor questa,
     Che dal doppio pregar convinto fue.
     Ella il ringratia, e quelle cose appresta,
     Che servir denno à l’occorrentie sue,
     E s’allegra per due, per due fa festa
     Di quel, ch’esser dovea lugubre à due.
     Tereo il ringratia, anchor via più contento
     Per quel, c’hà dentro al cor lascivo intento.

Havean tanto à l’ingiù già preso il corso
     I cavalli del Sol, ch’egli à gran pena
     Regger più gli potea co’l duro morso,
     Tant’eran presso à la bramata arena;
     Quando havendo i due Re molto discorso
     Chiamati furo à la superba cena,
     Dove fanno à Lieo l’honor, che ponno,
     Poi vanno à dar le membra in preda al sonno.

Ma il Tracio Re, se ben da quella è lunge,
     Che gli havea Amor scolpita in mezzo al core;
     Non però men quel desir cieco il punge,
     Ma contempla lontan l’Achivo amore.
     E seco imaginando si congiunge,
     E havendo in mente il bel, ch’appar di fuore,
     Quel, che non vede, à suo modo si finge,
     E con vano pensier l’abbraccia, e stringe.

Già tolta al ciel l’Aurora havea ogni stella,
     E lodava ogni augel la nova luce,
     Eccetto il Lusignuol, la Rondinella,
     Che sotto altro mantel godean la luce,
     Quando per menar via la figlia bella
     Tereo, ch’al sonno mai non diè la luce,
     Vedendo essere apparso il novo lume,
     Co’l medesmo pensier lasciò le piume.

Fece dapoi sentir gli ultimi accenti
     Al socero, e da lui commiato prese,
     Il qual nel far gli estremi abbracciamenti
     Fe, che queste parole estreme intese.
     Tereo, poi che à le voglie troppo ardenti
     De le mie figlie il tuo parer s’apprese,
     Anch’io dal voler tuo non mi diparto,
     Anzi al terzo parere aggiungo ii quarto.

Ma ben ti vò pregar per quella fede,
     Che ’l giusto vuol, ch’à l’huom da l’ huom si porti,
     E per la fè, ch’al laccio si richiede,
     Ch’ insieme n’hà di parentado attorti,
     C’habbi di questa vergine mercede,
     Si che sicura sia da gli altrui torti,
     E, perche ritornar mi possa illesa,
     Sia con paterno amor da te difesa.

E poi che la pietà m’have disposto
     À lasciar dipartir da me costei,
     Tu anchor (se ’l giusto, e ’l pio non t’è nascosto)
     Tenuto à rimandarla al padre sei.
     Però del volto suo quanto più tosto
     Contenta i lagrimosi lumi miei.
     Porga il genero pio questo conforto
     À la vecchiezza mia pria, ch’ io sia morto.

E tu cara mia figlia habbi rispetto
     À l’età mia, che quasi al suo fin giunge,
     E come satisfatto al caldo affetto
     Havrai di quello amor, ch’à gir ti punge,
     Ritorna incontinente al patrio tetto,
     Basta, ch’una di due da me sia lunge.
     Cosi dicendo le baciò la fronte,
     E fè, con questo dir, d’ogni occhio un fonte.