Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/203

Non lunge stà dal muro, che fondato
     Fù da la cetra, e da la metrica arte
     Di mura cinto un pian, che fù già prato
     C’hor serve d’essercitio al fiero Marte.
     Qui si vede la tela, e lo steccato,
     Ingombrano i tornei quell’altra parte,
     Qui il prato è da lottar, lì i cerchi, e calli,
     Che servono al maneggio de cavalli.

Quei che nacquer di Niobe, e d’Anfione
     Di cor, di volto, e di virtute alteri,
     Eran venuti al martiale Agone
     Sù i più superbi lor Regij destrieri,
     Per far del lor valor quel paragone,
     Ch’assicura i cavalli, e cavalieri,
     E à pena fur nel destinato loco,
     Che dier principio al virtuoso gioco.

Damasittone appar sù un turco bianco,
     Macchiato tutto il dosso à mosche nere,
     Si ferman gli altri, e ’l destro lato, e ’l manco
     lngombrano in due liste per vedere.
     Il cavalier ne l’uno, e l’altro fianco
     In un medesmo tempo il caval fere,
     E ’l morso allenta, e al corso si l’affretta,
     Che non và si veloce una saetta.

Come il giovane accorto al segno giugne
     Non lascia più al caval la briglia sciolta,
     Ma ’l ferma, e ’l fren volge à man destra, e ’l pugne
     Co’l piè sinistro, e ’n un momento il volta:
     Come stampa al contrario in terra l’ugne,
     Là il pinge, onde partì la prima volta;
     Giugne, e ’l raffrena, e poi ne la destr’anca
     Punge il destriero, e ’l fren volge à man manca.

Dove la groppa havea, volge la faccia,
     E come l’altro termine rimira,
     Non gli dà tempo alcun, di novo il caccia,
     E come giunge al segno, il fren ritira,
     Lo svolge, e invia per la medesma traccia,
     Ne fin’ al nono repulon respira,
     Dove il ferma, che sbuffa ira, e veleno,
     E sbava per superbia, e rode il fieno.

Di Spagna ad un villan preme la sella
     Sifilo, ch’al fratel punto non cede,
     La spoglia hà il suo caval tutta morella,
     Dietro alquanto balzano hà il manco piede,
     D’ argento una minuta, e vaga stella
     In mezzo al volto altier splender si vede,
     E zappa, e rigne, e par che dica, io chieggio,
     Che non ponga più indugio al mio maneggio.

Con gli sproni, e le polpe egli lo stringe,
     E solleva in un punto alta la mano,
     E con un salto in aria innanzi il pinge
     Quanto può con un salto andar lontano:
     Com’hà poi fatto un passo, il ricostringe
     A gir per l’aria à racquistare il piano;
     E come il mare ondeggia hor basso, hor alto,
     E sempre dopo il passo il move al salto.

Con misura, e con arte il tempo ei prende,
     Mentre fà, che s’alterni il salto, e ’l passo,
     E ’l buon caval, che ’l suo volere intende,
     Si move tutto in aria, hor tutto basso
     Fin al decimo salto il corso stende,
     Poi per non farlo il cavalier si lasso,
     Ch’offenda il presto piè, la forte lena,
     Al cavallo infiammato il salto affrena.

Alfenore vien sopra un leardo
     Ginnetto, ch’argentato have il mantello,
     C’hà leggiadro l’andar, superbo il guardo
     Dal capo al piè mirabilmente bello.
     A corvette ne vien soave, e tardo,
     Poi spicca un salto in aria agile, e snello,
     Tutto accolto in un gruppo, e cade, e ’mprime
     L’orme del suo cader ne l’orme prime.

Ritorna poi dal salto à le corvette,
     E tutto il peso à i piè di dietro appoggia,
     Le ben piegate braccia in terra mette,
     E dopo alquanti passi in aria poggia,
     Poi quando che s’atterri, al piè permette,
     Il vestigio di prima il piede alloggia,
     E la corvetta à poco à poco acquista
     Tanto, che giunge al capo de la lista.