Pagina:Ovidio - Le metamorfosi.djvu/198

Pinge più giù come nel fiume stesso
     Cangiato il Re del mar sù l’aurea arena
     La gran moglie d’Aloo si tira appresso,
     E con l’ ignude braccia l’ incatena,
     E come egli acquistò di quello eccesso
     Due figli cosi grandi, e di tal lena,
     Ch’al ciel fer guerra, e tennero in disparte
     Tredici mesi impregionato Marte.

Colora come in forma d’un montone
     La bella figlia inganna di Bisalto,
     La qual su’l bianco suo vello si pone,
     Et egli entra nel mare, e nuota in alto,
     Lunge l’atterra poi da le persone,
     E seco viene à l’amoroso assalto.
     Finge lo stesso poi Rettor Marino
     Portar Melanto in forma di Delfino.

Ma lasciato da parte il Re de l’ onde,
     Il biondo Apollo trasfigura, e pinge,
     Che co i vaghi occhi, e con le chiome bionde
     Una Ninfa Anfrisea l’ infiamma, e stringe,
     Tutto ei fra smorte piume il corpo asconde,
     E vola, e innanzi à lei sparvier si finge,
     Ella il prende, e ’l nutrisce, e ’n caccia il prova,
     D’un’altra forma poi la notte il trova.

Scopre come in Thessaglia andando à caccia
     Una formosa vergine Napea,
     Con uno orso crudel venne à le braccia,
     E s’aiuto un Leon non le porgea,
     Tutta guasta l’havria l’orso la faccia.
     Ma Apollo, che Leon quivi parea,
     Uccise in suo favor l’horribil orso,
     Poi lasciò tutto humil mettersi il morso.

Giurò già di seguir senza consorte
     La legge di Diana, e di Minerva,
     Costei, c’hor lieta è de l’ Orsina morte,
     E d’ haver quel Leon, che in caccia il serva.
     Ma come il sonno à lei le luci hà morte,
     Di Venere il Leon la rende serva,
     Si spoglia di quel pel l’amante ignoto,
     E fà per forza à lei rompere il voto.

Aggiunse à questo un’ altro tradimento
     D’Apollo volto à l’ amorose trame,
     Ch’Issa, à cui già mortificato, e spento
     Havea il lascivo amor santo legame,
     Fingendo à lei voler guardar l’armento
     In forma di pastor la rendè infame,
     E ’l voto fatto à Delia romper feo
     À la figlia già pia di Macareo.

Vi tesse anchor, come il Bimatre Nume
     De la figliuola d’ Icaro s’ accende,
     E si forma una vigna, e in tanto il lume
     Ne l’uva chi vi fa la figlia intende,
     Ella seguendo il giovenil costume
     Quanta ne cape il sen, tanta ne prende,
     E la porta contenta al patrio tetto,
     Ma la notte quel Dio si trova in letto.

D’hedera il panno estremo un fregio serra
     Fatto à grotteschi industriosi, e belli,
     Dove cerchio con cerchio in un s’ afferra,
     Pien di semicentauri, e semiuccelli.
     Poi per dar fine à la Palladia guerra
     Fan paragon de figurati velli,
     E se ben quel di Palla era divino
     Di poco gli cedea l’ Aranneo lino.

Quanto lodò la Dea d’ Aranne l’arte,
     Tanto dannò la sua profana historia,
     Che senza offender la celeste parte,
     Ben acquistar potea la stessa gloria.
     Tutto straccia quel panno à parte, à parte,
     De celesti peccati empia memoria,
     Per non mostrare à secoli novelli
     Gli eccessi de gli zij, padre, e fratelli.

Poi c’hebbe à le figure illustri, e conte
     Tolto l’honor, c’ havean dal vario laccio,
     Si trovò in man del Citoriaco monte,
     Da misurare il lin tessuto un braccio,
     E due, e tre volte ne l’Arannea fronte
     (Alzando più, ch’alzar si possa il braccio)
     Lasciò cadere il Citoriaco arbusto
     Con degno premio al suo lavoro ingiusto.