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Chiude il cannello il picciolo spoletto,
     E poi la spola in sen la canna abbraccia.
     Elle poste à seder sopra quel letto,
     Che serve à chi l’un fil con l’altro allaccia;
     L’animo intende ogn’una al bello obietto
     Con le vest’alte, e con l’ ignude braccia
     Fan, che la trama per l’ordito passe,
     E su’l passato fil batton le casse.

Questa calcola, e quella il piede offende,
     E mentre preme lor l’attenta schena
     Fà, che ’l liccio, e l’ordito hor sale, hor scende,
     E che la trama misera incatena.
     La spola una man dà, l’altra la rende,
     E questa, e quella man le casse mena,
     E mentre il pugno hor perde, hor si riscuote,
     Gira il cannello, e ’l fil disvolge, e scuote.

Per aiutar l’ historia co’l colore,
     Varian le spole, ove è il color riposto,
     E ’n quella parte appare il fil di fuore,
     Che serve à l’opra, e ’l resto stà nascosto.
     Mover fa il piè la parte inferiore,
     E ’l liccio intende , e fa quel, che gli è imposto.
     E la trama informante in parte scopre,
     Ch’al lavor giova, e tutto il resto copre.

Pingon ne l’opra historie, e questa, e quella
     Varie, si come è vario il lor pensiero,
     E fanvi ogni figura cosi bella,
     E con cosi mirabil magistero,
     Che sol manca lo spirto, e la favella
     Al vivo gesto, e d’ogni parte intero.
     E del vario color, che ’l panno ingombra,
     Un fa il manto, un la carne, un’ altro l’ombra.

Palla nel panno suo superbo, e vago,
     L’alma città d’Athene adombra, e pinge,
     E vi fa il promontorio Ariopago
     Sacrato à Marte, ove colora, e finge
     Di Giove la divina, e Regia imago,
     Che con dodici Divi un’ arco cinge,
     E l’aere di ciascuno ha si ben tolto,
     Che qual sia ciascun Dio, dichiara il volto.

Giove nel mezzo imperioso siede,
     Gli altri sedono bassi, egli eminente.
     Quivi il Rettor de le Nereide fiede
     Il fertile terren co’l suo tridente;
     E del suo grembo uscito esser si vede
     Un feroce destrier bello, e possente,
     E la terra arricchisce ei di quel bene,
     Per dare il nome à la città d’Athene.

Di scudo, e di celata arma se stessa
     Con l’hasta in man religiosa, et alma,
     Tien nel petto d’acciar Medusa impressa,
     Ch’ ignuda à lei mostrò la carnal salma,
     E per la gratia à l’huom da lei concessa
     Lieta si vede riportar la palma,
     Ch’ella à la terra, allhor di quel ben priva,
     Fè partorir la fruttuosa Oliva.

Veggonsi in atto star gli arbitri Dei,
     Che lo stupor dimostran ne le ciglia,
     E coronar de la vittoria lei,
     Da cui la dotta terra il nome piglia.
     E per farle veder di quai trofei
     Dee trionfar la temeraria figlia,
     Fa quattro historie d’huomini arroganti,
     Che d’agguagliarsi osaro à i Numi santi.

Hemo già Re di Tracia hebbe consorte
     La bella Rodopea figlia d’un Fiume,
     Questi armò di superbia il cor si forte,
     Che fe adorarsi qual celeste Nume.
     E questo vano error cecò di sorte
     À la moglie, et à lui l’interno lume,
     Ch’egli chiamar si fè Giove, e Giunone
     Fè nominar la figlia di Strimone.

Sdegnato il ciel del glorioso affetto
     Lor trasformar la troppa altera fronte,
     E questa, e quel con glorioso aspetto
     Dominò i vicin colli, e fessi un monte.
     L’angul superior destro fu eletto
     Per far quest’opre manifeste, e conte.
     Ne l’altro incontro à questo si vedea
     L’orgoglio de la misera Pigmea.