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LIBRO SESTO

T
utto ascoltato havea la saggia Dea

     Il canto de la Musa altero, e degno,
     E de le Dee vittoriose havea
     Sommamente lodato il giusto sdegno.
     Ne stà ben, ch’ una donna infima, e rea
     S’agguagli à gli alti Dei del santo regno.
     E giusta è l’ira del divin collegio,
     Se noce à quei, che ’l cielo hanno in dispregio.

Ben può, dicea, ciascun lodar le Muse
     D’haver dato castigo al loro oltraggio;
     Ma chi sarà, che me non danni, e accuse,
     Poi ch’ in si giusto sdegno anch’ io non caggio?
     Ogn’un già sà quanta arroganza hoggi use
     Aranne, ch’ osa porsi al mio paraggio.
     E s’ io la lascio stare in questo inganno,
     Quanto lodo le Dee, tanto me danno.

In Lidia già formò l’humano aspetto
     À questa Aranne il colofonio Idmone.
     Questi tingea nel suo povero tetto
     Di più color la spoglia del montone.
     Colei, che nel suo sen le diè ricetto,
     Già passat’era al regno di Plutone.
     De la picciola Hippepa i padri furo,
     Ch’al mondo la donar di sangue oscuro.